Un Draghi nel pagliaio

di Fabio Morabito

Più Europei N.62

C’è una fotografia, che Più Europei utilizzò anche come copertina del giornale (il numero 62, l’estate scorsa) che spiega come la scelta di incaricare Mario Draghi a formare il governo sia la più felice possibile da parte del Quirinale al punto attuale della crisi. L’ex governatore della Banca d’Italia, ex presidente della Banca centrale europea, è l’uomo politico italiano (perché gli incarichi appena citati sono incarichi di fatto politici) più autorevole all’estero e soprattutto in Europa. In questa foto si vede Draghi a Bruxelles mentre parla a Emmanuel Macron, e dalla mimica  – e dallo sguardo attento del presidente francese – sembra che gli stia facendo una lezione. Quanti altri politici in Italia possono sperare di essere ascoltati così? La risposta è semplice: nessuno.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spiegato bene il senso di questo approdo, da un punto di vista della correttezza nella gestione della consultazioni, dopo che il Presidente della Camera Roberto Fico ha dovuto rappresentare al Colle il “nulla di fatto” sul suo giro esplorativo. “Dal momento in cui si sciolgono le Camere  devono passare 60 giorni – ha spiegato Mattarella, in un contesto di urgenza anche per gli impegni richiesti dall’Europa sulle garanzie per i 209 miliardi stanziati per l’Italia a fronte dell’attuale emergenza -. Poi altri 20 giorni per insediare le nuove Camere, che poi devono formare i propri uffici di presidenza. Poi bisogna formare il governo, che deve ottenere la fiducia delle Camere e poi organizzare i propri uffici. Nel 2013 passarono 4 mesi, nel 2018 5 mesi. Si tratterebbe di tenere a lungo il Paese senza un governo in pienezza di funzioni”.

Da qui, la convocazione di Draghi che aveva già dato da tempo – anche se non era trapelato ufficialmente – la sua disponibilità all’incarico. Si era parlato, in questa vigilia, che qualora si fosse dovuto ripiegare su un governo tecnico, gli sarebbe stato affidato il super-ministero dell’Economia, con Marta Catarbia, l’attuale presidente della Corte Costituzionale, a capo dell’Esecutivo. Una sciocchezza, perché Marta Catarbia – lei sì – non è una politica, e avrebbe dovuto improvvisarsi in un ruolo confrontandosi con i leader del mondo proprio quest’anno che l’Italia ha la presidenza del G20. Un ruolo che rende ancora più significativa e opportuna la scelta di Draghi.

Chi legge questo avvicendamento come una sconfitta di Giuseppe Conte – e lo faranno in molti – forse legge la situazione in modo riduttivo, perché non è Conte che è sconfitto ma la situazione che ha bisogno di essere affrontata in modo eccezionale. Per altro, Conte – quando divenne Presidente del Consiglio, meno di tre anni fa – era lui sì un “tecnico”, fino a quel momento fuori dalla politica e indicato, prima delle elezioni, dai Cinque Stelle per un ministero di seconda fila. Conte era stato indicato come “punto di equilibrio” e “unico nome possibile” per un governo politico dai Cinque Stelle, dal Partito democratico, da Liberi e Uguali, anche dal gruppo parlamentare dei cosiddetti “responsabili” o “costruttori” (il cui nome vero è un insieme di sigle, che sono una parodia della politica frammentata). Questo dopo la crisi provocata da Italia Viva, il gruppo nato dal Pd per iniziativa di Matteo Renzi.

Ma la trattativa per un terzo governo Conte – come peraltro succede spesso – era andata ampiamente al di là di quelli che sono le indicazioni costituzionali, con Conte che veniva di fatto commissariato nel programma e nelle scelte dei ministeri, dove non solo avrebbe dovuto subire le scelte dei singoli partiti ma anche subire dei veti. Peggio ancora del primo esecutivo, dove c’era una logica nel subire le scelte dei partiti, ed era quella di districarsi in un mondo che l’avvocato e professore universitario pugliese ancora non conosceva. 

Naturalmente l’incarico a Draghi può non piacere a chi crede nel primato della politica tradizionale, ma quello che conta sono le cose che potrà fare e che farà per riportare fuori la nave Italia dalla secca della crisi. E “l’alto profilo” indicato dal Quirinale non può essere meglio rappresentato che dall’ex presidente della Bce. Questo, quando tutto si stava riducendo a piccole polemiche di bottega che hanno inquinato fin qui il dibattito dopo le dimissioni del secondo governo Conte.

Quello che sta succedendo con questa scelta del Quirinale è un fatto ricorrente della politica italiana degli ultimi decenni, e cioè il passaggio del testimone a governi cosiddetti “tecnici”.

Si può legittimamente sperare che questa soluzione possa essere più felice di altre – controverse – del passato. Il governo affidato a un non parlamentare non va letto come un limite della nostra politica, ma come una risorsa quando i partiti non sanno dare una risposta efficace. Peraltro parlamentare non lo è neanche Conte, mentre Mario Monti lo era diventato come senatore a vita poco prima dell’incarico a premier. Certamente quella dei governi tecnici è una nostra particolarità. In Germania, Francia o Gran Bretagna non succede niente del genere. Ma in Italia, rispetto ad altri Paesi, e dopo la crisi e la fine delle grandi scuole di partito, c’è una classe politica diventata così modesta e inadeguata (anche nelle fila dei gruppi tradizionali) da accogliere con sollievo che si riesca a trovare un…Draghi nel pagliaio. 

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