Centrosinistra, in Europa l’astensione salva i governi

di Fabio Morabito

Ma l’Europa è davvero preoccupata della stabilità del governo italiano? Un conto è quello che scrivono i giornali europei, i cui corrispondenti riportano spesso quello che raccontano i media italiani: una crisi “incomprensibile”, motivata dall’ego di Matteo Renzi che guida il suo partito personale “Italia Viva“. Con il faticoso tentativo martedì 19 di raggranellare in maggior numero possibile di senatori per avvicinarsi alla maggioranza assoluta (quota 161) e non limitarsi alla maggioranza relativa, cioè a quella della metà più uno ma dei presenti in aula (che, nella fattispecie, era di 149).

Il conteggio si è fermato a 156, con due voti dell’ultimo momento definiti da Le Monde “provvidenziali”: il senatore Riccardo Nencini (Partito socialista, ma ospitante di Italia Viva come gruppo autonomo del Senato) e Alfonso detto Lello Ciampolillo, eletto con i Cinque Stelle ma poi espulso dal Movimento e approdato come tanti suoi colleghi nel Gruppo misto.

“Provvidenziali” perché sono stati due sì alla fiducia. Arrivati all’ultimo momento perché il loro voto è stato espresso finite le due “chiame” previste e quando stava per chiudersi la procedura d’appello. Al punto da dar credito a chi maliziosamente sospetta che il loro ritardo fosse dovuto a una trattativa protrattasi in serata per avere qualcosa in cambio del loro voto: un incarico, non necessariamente nel governo, ma nei tanti posti pubblici che dovranno essere assegnati nei prossimi mesi. Fatto è che il risultato finale, 156 voti favorevoli, 140 contrari e 16 astensioni da “Italia Viva”, fa capire come Matteo Renzi non sia stato ancora soppiantato da quelli che un tempo si auto-definivano “responsabili”, ora “costruttori”, per i loro detrattori “voltagabbana” ma che poi sono i parlamentari che lasciano l’opposizione in soccorso del governo.

Se i giornali europei seguono con attenzione la crisi italiana, Bruxelles guarda prima di tutto al Recovery Plan italiano che ancora non va bene, anche se il rappresentante italiano nella Commissione europeo, Paolo Gentiloni, usa parole da bicchiere mezzo pieno, e cioè che il piano andrebbe quasi bene se non fosse che va migliorato. E il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri rassicura la Commissione che i deficit futuri di spesa non aumenteranno. L’altro timore di Bruxelles per l’Italia sono le elezioni anticipate, che allo stato attuale della crisi sono ancora molto improbabili, anche se in molti le evocano, e non solo nell’opposizione. Si bloccherebbe il piano italiano, che già così sembra fare acqua. E si andrebbe a votare in piena pandemia la qual cosa – non essendo un voto programmato come è quello della scadenza naturale della legislatura – certamente renderebbe agli occhi di chi ci guarda in Europa l’attuale crisi una patologia e non una necessità reale. 

Su quale sia il sentimento in Europa circolano due teorie contrapposte,  e cioè che Bruxelles vorrebbe un governo forte in Italia, mentre c’è chi sostiene che un governo debole – come l’attuale – vada invece benissimo, per lasciare ancora Roma all’angolo. In realtà un governo è forte in Europa non tanto se confortato dall’aritmetica del voto parlamentare ma se riesce ad avere una linea energica, non logorata dai compromessi tra partiti, correnti, acquisti di singoli consensi dal fronte dell’opposizione. E il caso Italia non è un’anomalia europea. Di governi deboli ce ne sono parecchi. Quello dei Paesi Bassi si è appena dimesso. Gli altri “fragili”, sono tutti esecutivi di centrosinistra, come quello italiano. Il governo spagnolo, con premier il socialista Pedro Sanchez, ha nove voti in meno rispetto alla maggioranza assoluta. In Portogallo il socialista Antonio Costa è sotto di otto voti (108 anziché 116 su 230 seggi). Il caso della Svezia è il più clamoroso: il socialdemocratico Stefan Lofven guida un governo a cui mancano sessanta parlamentari per la maggioranza assoluta. Altro che i sedici senatori di Italia Viva che si sono astenuti: Lofven riesce a governare, in coalizione con i Verdi, con l’astensione dei Liberali, del Partito di Centro e del Partito della Sinistra. 

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