Mattarella: la Ue ritrova il metodo comunitario

(Quello che segue è il discorso – al netto dei saluti – che il Presidente della Repubblica ha rivolto ai partecipanti del forum Ambrosetti a Cernobbio, il 5 settembre scorso. A introdurlo è stata una domanda dell’ex premier Enrico Letta: Signor Presidente, Le chiedo una riflessione sul seguente tema: abbiamo visto l’Europa, dopo un’incertezza iniziale, dare prova di solidarietà. Questa solidarietà è reale e concreta per i prossimi anni. È una solidarietà congiunturale, legata alla situazione presente. Quali sono le condizioni perché possa diventare una svolta strutturale?)

La drammatica crisi provocata dalla pandemia è stata uno spartiacque per l’Unione Europea che, in meno di sei mesi, ha compiuto scelte coraggiose e innovative che soltanto qualche settimana prima del suo inizio apparivano decisamente “fuori portata”. La pandemia ha avuto l’effetto di un duro richiamo alla realtà, rendendo ancor più evidente – a tutti, cittadini e Governi – che trincerarsi in una propria presunta autosufficienza non era una risposta contro un nemico sconosciuto e aggressivo. La diffusione del virus, di Paese in Paese, in maniera inarrestabile, ha dato plastica dimostrazione di come, sempre di più, i pericoli tendano – come ogni problema – a essere transnazionali e di come, quindi, possa essere efficace soltanto una collaborazione multilaterale senza riserve. Lo registriamo, ad esempio, in tema di vaccini.
La risposta nei confronti di uno shock esogeno e inaspettato – così dirompente nella comunità d’Europa come in ogni altra – non poteva che provenire da un ventaglio di iniziative tra livello locale, nazionale ed europeo. Ciascuno di questi tre livelli è indispensabile, così come nessuno di questi tre livelli, considerato da solo, è sufficiente. Paradigma di quel che dovrebbe essere normale criterio nella vita dell’Unione.
Di fronte a un’ondata di lutti e di sofferenze e alla necessità di osservare regole che hanno profondamente inciso sulle nostre abitudini e sui modelli economici e sociali, l’Unione ha mostrato la sua forza propulsiva, la sua capacità di ritrovare l’autentico spirito dei padri fondatori, basandosi sulle fondamenta rappresentate – nel merito – da valori come la solidarietà e la responsabilità e – nel metodo – da canoni quali la sussidiarietà. La Presidente Von der Leyen ha colto appieno la portata degli avvenimenti che stavamo attraversando in Italia quando, l’11 marzo scorso, allorché la decisione del lockdown totale era stata decisa da appena due giorni, sottolineava con determinazione la vicinanza dell’Unione al nostro Paese, con parole semplici e significative. Parole che attenuarono il senso di solitudine, di smarrimento, che accompagna sempre i momenti più dolorosi della vita di ogni comunità.
Quello stesso giorno, in Italia, si contavano già quasi 900 vittime. Non è stato facile ma alle parole sono seguite azioni concrete. La Commissione Europea ha interpretato, con autorevolezza, il compito che i Trattati le hanno assegnato, divenendo centro di elaborazione di linee guida che hanno rafforzato la coesione europea, nel segno di quel “metodo comunitario” che, più di ogni altro aspetto, ricalca la lungimiranza dei padri fondatori.
D’altra parte è proprio in momenti di grande incertezza, come quelli che stiamo attraversando, che diventa doveroso pensare al futuro, indicare vie d’uscita soprattutto a quanti, in una congiuntura senza precedenti in tempi di pace, vedono offuscarsi propri tradizionali punti di riferimento. Non è stata, quella della Commissione, una esortazione alla solidarietà bensì l’esercizio di una responsabilità istituzionale.
Responsabilità nel farsi carico di indicare la strada da percorrere, avanzando proposte – ripeto: coraggiose e innovative – la cui approvazione non appariva scontata. Proposte la cui agibilità politica pareva inimmaginabile sino a poco prima e tuttavia erano indifferibili se si voleva evitare che la crisi sociale ed economica travolgesse decenni di integrazione.
Una responsabilità che – occorre sottolinearlo – nel complesso e bilanciato impianto dell’Unione, è sempre condivisa. E che anche in questo caso è stata condivisa con il Parlamento Europeo, che negli anni si era più volte espresso a favore di una maggiore integrazione delle politiche economiche e fiscali. Condivisa con la Banca Centrale Europea che, sia con la attuale presidenza Lagarde, sia con la precedente Draghi, aveva ben preparato il terreno per quelle decisioni, assumendosi, a sua volta, responsabilità di alto profilo, etico oltre che monetario. A questa azione si è affiancata quella degli Stati membri.
Dapprima sotto forma di solidarietà bilaterale, spontanea e apprezzatissima. Successivamente, grazie a una paziente azione negoziale, sotto forma dell’elaborazione di programmi al livello comunitario. Come noto – con una iniziativa risultata decisiva – Berlino e Parigi si sono fatte promotrici della proposta di un piano di rilancio, finanziato attraverso debito comune. Un piano al quale non è stata estranea l’azione italiana, per coagulare un ampio fronte di Paesi, principalmente del Sud dell’Unione, fra i quali la stessa Francia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia.
Il piano per la ripresa, finalmente approvato da tutti i Capi di Stato e di Governo nel Consiglio Europeo di luglio, rappresenta per quantità di risorse – e per la qualità delle nuove formule adottate – una svolta di portata straordinaria che manifesta un livello di ambizione all’altezza dello storico valore dell’integrazione del Continente.
Il risultato raggiunto è, al tempo stesso, punto di arrivo e punto di partenza.
Punto di arrivo, in quanto segna il completamento di un disegno che dal mercato unico passa attraverso la moneta comune, l’unione bancaria e giunge alla definizione di uno strumento fiscale comune che, per la prima volta, contiene concreti elementi di stabilizzazione anticiclica delle nostre economie. Punto di partenza, perché, se attraverso gli strumenti messi in campo riusciremo ad assicurare la ripresa che i nostri cittadini si aspettano, avremo compiuto un sicuro e importante passo in avanti nel cammino di rafforzamento della coesione e della progressiva integrazione continentale, per un esercizio condiviso di una sovranità democratica capace di incidere.
La pandemia ha posto in evidenza la nostra comune vulnerabilità, a fronte di una comune crescente interdipendenza. Ebbene, appare davvero paradossale pensare che, mentre a livello internazionale le società sono sempre più interconnesse per catene di valore e per culture, gli Stati possano essere percorsi da tentazioni in direzione opposta. Due volontà contrastanti che risulterebbe del tutto impossibile giustificare e sostenere. La salvaguardia dell’integrità delle conquiste in termini di progressiva integrazione, sulla quale si basa anche la prosperità di tutte le economie europee, ha motivato il cambio di paradigma sul debito comune, ma alla base di queste coraggiose scelte di bilancio vi è l’esigenza di proteggere ciascun cittadino dell’Unione, indipendentemente dallo Stato di nazionalità.
Questa matura consapevolezza che nessuno si salva da solo ha in tal modo aperto al processo di integrazione nuovi orizzonti. (Letta: (…) Una seconda riflessione riguarda il ruolo dei cittadini europei e il dibattito sul futuro dell’Unione, sulle prospettive istituzionali e politiche del vecchio continente (…) Il dibattito sul futuro dell’Unione sarà necessariamente influenzato, in profondità, dal complesso delle decisioni che stiamo adottando oggi per combattere le ricadute sociali, economiche, sanitarie della crisi. E anche dalla necessità delle scelte da compiere dopo l’ormai avvenuta ( Quello che segue è il discorso – al netto dei saluti – che il Presidente della Repubblica ha rivolto ai partecipanti del forum Ambrosetti a Cernobbio, il 5 settembre scorso. A introdurlo è stata una domanda dell’ex premier Enrico Letta: Signor Presidente, Le chiedo una riflessione sul seguente tema: abbiamo visto l’Europa, dopo un’incertezza iniziale, dare prova di solidarietà. Questa solidarietà è reale e concreta per i prossimi anni. È una solidarietà congiunturale, legata alla situazione presente. Quali sono le condizioni perché possa diventare una svolta strutturale?) La drammatica crisi provocata dalla pandemia è stata uno spartiacque per l’Unione Europea che, in meno di sei mesi, ha compiuto scelte coraggiose e innovative che soltanto qualche settimana prima del suo inizio apparivano decisamente “fuori portata”. La pandemia ha avuto l’effetto di un duro richiamo alla realtà, rendendo ancor più evidente – a tutti, cittadini e Governi – che trincerarsi in una propria presunta autosufficienza non era una risposta contro un nemico sconosciuto e aggressivo. La diffusione del virus, di Paese in Paese, in maniera inarrestabile, ha dato plastica dimostrazione di come, sempre di più, i pericoli tendano – come ogni problema – a essere transnazionali e di come, quindi, possa essere efficace soltanto una collaborazione multilaterale senza riserve. Lo registriamo, ad esempio, in tema di vaccini. La risposta nei confronti di uno shock esogeno e inaspettato – così dirompente nella comunità d’Europa come in ogni altra – non poteva che provenire da un ventaglio di iniziative tra livello locale, nazionale ed europeo. Ciascuno di questi tre livelli è indispensabile, così come nessuno di questi tre livelli, considerato da solo, è sufficiente. Paradigma di quel che dovrebbe essere normale criterio nella vita dell’Unione. Di fronte a un’ondata di lutti e di sofferenze e alla necessità di osservare regole che hanno profondamente inciso sulle nostre abitudini e sui modelli economici e sociali, l’Unione ha mostrato la sua forza propulsiva, la sua capacità di ritrovare l’autentico spirito dei padri fondatori, basandosi sulle fondamenta rappresentate – nel merito – da valori come la solidarietà e la responsabilità e – nel metodo – da canoni quali la sussidiarietà. La Presidente Von der Leyen ha colto appieno la portata degli avvenimenti che stavamo attraversando in Italia quando, l’11 marzo scorso, allorché la decisione del lockdown totale era stata decisa da appena due giorni, sottolineava con determinazione la vicinanza dell’Unione al nostro Paese, con parole semplici e significative. Parole che attenuarono il senso di solitudine, di smarrimento, che accompagna sempre i momenti più dolorosi della vita di ogni comunità. Quello stesso giorno, in Italia, si contavano già quasi 900 vittime. Non è stato facile ma alle parole sono seguite azioni concrete. La Commissione Europea ha interpretato, con autorevolezza, il compito che i Trattati le hanno assegnato, divenendo centro di elaborazione di linee guida che hanno rafforzato la coesione europea, nel segno di quel “metodo comunitario” che, più di ogni altro aspetto, ricalca la lungimiranza dei padri fondatori. D’altra parte è proprio in momenti di grande incertezza, come quelli che stiamo attraversando, che diventa doveroso pensare al futuro, indicare vie d’uscita soprattutto a quanti, in una congiuntura senza precedenti in tempi di pace, vedono offuscarsi propri tradizionali punti di riferimento. Non è stata, quella della Commissione, una esortazione alla solidarietà bensì l’esercizio di una responsabilità istituzionale. Responsabilità nel farsi carico di indicare la strada da percorrere, avanzando proposte – ripeto: coraggiose e innovative – la cui approvazione non appariva scontata. Proposte la cui agibilità politica pareva inimmaginabile sino a poco prima e tuttavia erano indifferibili se si voleva evitare che la crisi sociale ed economica travolgesse decenni di integrazione. Una responsabilità che – occorre sottolinearlo – nel complesso e bilanciato impianto dell’Unione, è sempre condivisa. E che anche in questo caso è stata condivisa con il Parlamento Europeo, che negli anni si era più volte espresso a favore di una maggiore integrazione delle politiche economiche e fiscali. Condivisa con la Banca Centrale Europea che, sia con la attuale presidenza Lagarde, sia con la precedente Draghi, aveva ben preparato il terreno per quelle decisioni, assumendosi, a sua volta, responsabilità di alto profilo, etico oltre che monetario. A questa azione si è affiancata quella degli Stati membri. Dapprima sotto forma di solidarietà bilaterale, spontanea e apprezzatissima. Successivamente, grazie a una paziente azione negoziale, sotto forma dell’elaborazione di programmi al livello comunitario. Come noto – con una iniziativa risultata decisiva – Berlino e Parigi si sono fatte promotrici della proposta di un piano di rilancio, finanziato attraverso debito comune. Un piano al quale non è stata estranea l’azione italiana, per coagulare un ampio fronte di Paesi, principalmente del Sud dell’Unione, fra i quali la stessa Francia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia. Il piano per la ripresa, finalmente approvato da tutti i Capi di Stato e di Governo nel Consiglio Europeo di luglio, rappresenta per quantità di risorse – e per la qualità delle nuove formule adottate – una svolta di portata straordinaria che manifesta un livello di ambizione all’altezza dello storico valore dell’integrazione del Continente. Il risultato raggiunto è, al tempo stesso, punto di arrivo e punto di partenza. Punto di arrivo, in quanto segna il completamento di un disegno che dal mercato unico passa attraverso la moneta comune, l’unione bancaria e giunge alla definizione di uno strumento fiscale comune che, per la prima volta, contiene concreti elementi di stabilizzazione anticiclica delle nostre economie. Punto di partenza, perché, se attraverso gli strumenti messi in campo riusciremo ad assicurare la ripresa che i nostri cittadini si aspettano, avremo compiuto un sicuro e importante passo in avanti nel cammino di rafforzamento della coesione e della progressiva integrazione continentale, per un esercizio condiviso di una sovranità democratica capace di incidere.
La pandemia ha posto in evidenza la nostra comune vulnerabilità, a fronte di una comune crescente interdipendenza. Ebbene, appare davvero paradossale pensare che, mentre a livello internazionale le società sono sempre più interconnesse per catene di valore e per culture, gli Stati possano essere percorsi da tentazioni in direzione opposta. Due volontà contrastanti che risulterebbe del tutto impossibile giustificare e sostenere. La salvaguardia dell’integrità delle conquiste in termini di progressiva integrazione, sulla quale si basa anche la prosperità di tutte le economie europee, ha motivato il cambio di paradigma sul debito comune, ma alla base di queste coraggiose scelte di bilancio vi è l’esigenza di proteggere ciascun cittadino dell’Unione, indipendentemente dallo Stato di nazionalità. Questa matura consapevolezza che nessuno si salva da solo ha in tal modo aperto al processo di integrazione nuovi orizzonti.
(Letta: (…) Una seconda riflessione riguarda il ruolo dei cittadini europei e il dibattito sul futuro dell’Unione, sulle prospettive istituzionali e politiche del vecchio continente (…) Il dibattito sul futuro dell’Unione sarà necessariamente influenzato, in profondità, dal complesso delle decisioni che stiamo adottando oggi per combattere le ricadute sociali, economiche, sanitarie della crisi. E anche dalla necessità delle scelte da compiere dopo l’ormai avvenuta Brexit.
Credo che vadano affrontati un profilo di identità e un profilo di strategia. Talvolta si avverte un deficit di consapevolezza e di fiducia circa la forza e il ruolo della Unione Europea particolarmente nel contesto internazionale: si pensi solo al suo potenziale economico e commerciale, per non parlare del peso di una valuta di riserva come l’euro. Elementi tutti che, sin qui, l’Unione ha speso, meritoriamente, in termini positivi, per la costruzione di un ordine internazionale più equo e più giusto e, dunque, più sicuro per tutti.
Gli interventi nati in momenti di necessità – e che rafforzano l’Unione – devono adesso essere orientati al superamento delle debolezze strutturali dell’edificio europeo, messe in luce da vicende come la stessa pandemia ma anche – ad esempio – dalla gestione dei fenomeni migratori. Gli strumenti principali che hanno visto o stanno vedendo la luce in questo periodo hanno natura temporanea, legata alla eccezionalità della situazione che stiamo vivendo. Questo carattere si è reso necessario per vincere la riluttanza di una parte dei membri, particolarmente ostile al coordinamento della politica fiscale e all’assunzione di debito comune.
Non a caso, del resto, il via definitivo alla emissione di titoli avverrà dopo che la “decisione sulle risorse proprie” verrà ratificata dai Parlamenti di tutti gli Stati membri. E questo passaggio rappresenta un vero banco di prova (…). Il legame tra Quadro pluriennale di spesa, fondi straordinari e debito comune, comporta la presa d’atto della limitatezza di risorse presenti a livello comunitario per sviluppare politiche incisive, che non facciano dell’Unione una mera istanza di trasferimento di fondi. I nostri concittadini europei vivono con ansia il presente – fra timore di “seconde ondate” di contagio e accresciute difficoltà economiche – e guardano con incertezza al futuro: il processo di approvazione dei meccanismi di “governo” del Fondo per la ripresa devono procedere, quindi, necessariamente, con massima rapidità, in modo da rendere disponibili le necessarie risorse già all’inizio del 2021.
Con la medesima sollecitudine deve intervenire la preparazione dei “piani nazionali di rilancio” che saranno sottoposti all’attenzione degli organi comunitari. Anche da questo punto di vista entra in gioco – per i singoli Stati – il valore della responsabilità. Ai Paesi membri viene offerta una possibilità unica – forse irripetibile – di disporre di risorse consistenti per compiere riforme strutturali in grado non soltanto di garantire l’uscita dalla crisi, ma soprattutto di assicurare prosperità e benessere per le nuove generazioni, con un nuovo modello di crescita più sostenibile. Non a caso il piano di rilancio è chiamato piano Generazione Futura UE, perché l’obiettivo vuole – e deve – essere quello di tracciare un orizzonte sostenibile per le giovani generazioni. La crisi obbliga, oggi, sia al livello nazionale sia al livello comunitario, a far ricorso massicciamente al debito. Un debito che inciderà su coloro che ci seguiranno nel tempo. Non dobbiamo compromettere, con scelte errate, la speranza, per chi verrà, di accesso a condizioni sociali ed economiche se non migliori quanto meno pari a quelle di cui noi abbiamo usufruito.
Le prossime generazioni guarderanno in modo critico al periodo che stiamo vivendo. Chiederanno come sono state destinate e amministrate somme così ingenti e, nel caso di inattività o scarsa efficacia della nostra azione, si domanderanno perché una generazione che ha potuto godere, per un periodo così lungo, di circostanze favorevoli non sia, invece, riuscita a realizzare infrastrutture essenziali per la crescita e riforme necessarie per l’efficienza del sistema sociale ed economico, accrescendo solo la massa di debito. Condizioni così propizie agli investimenti come quelle attuali – si pensi ai tassi di interesse – sono difficilmente ripetibili.
Se agiremo con assennatezza l’Unione Europea uscirà da questo periodo – altrimenti fosco e confuso – con basi più solide, con maggiore capacità di soddisfare le esigenze dei propri cittadini e con più ampia influenza al livello internazionale. Servirà anche a porre condizioni di maggiore coesione ed equilibrio per un positivo sviluppo e per il successo della Conferenza sul futuro dell’Europa. Questi aspetti, queste decisioni, accrescono, quindi, l’attesa e, allo stesso tempo, contribuiscono al decollo della Conferenza stessa. Ancora di recente il presidente dell’Assemblea di Strasburgo, David Sassoli, ha messo in rilievo l’importanza di questo appuntamento per diminuire la distanza tra cittadini e istituzioni dell’Unione.Conseguire gli obiettivi che ci siamo prefissati, equivale a realizzare buona parte di quei progressi sulla via della sempre maggiore integrazione che appaiono indispensabili per una Unione Europea che divenga sempre più efficace nella sua azione.Potremo così superare quella pagina infausta costituita dalla rinuncia al progetto definito di Costituzione europea e il “ripiegamento” sul Trattato di Lisbona, aprendo, con coraggio, la strada a quella revisione dei Trattati che, da troppo tempo, rappresenta un vero tabù per tante Cancellerie europee.

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