Una poltrona per due

Regole e protocolli nella UE

di Carlo Curti Gialdino*

*(Vicepresidente dell’Istituto Diplomatico Internazionale già ordinario di Diritto dell’Unione europea – Sapienza Università di Roma)

  1. La recente visita ad Ankara del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogăn e talune vicende occorse in tale occasione, oggetto di uno straordinario impatto mediatico, inducono a riflettere su regole e prassi della rappresentanza internazionale dell’Unione sia sotto il profilo competenziale sia sotto quello cerimoniale.
Charles Michel e Ursula von der Leyen accolti ad Ankara da Erdogan

Vale la pena di ricordare, anzitutto, che il riparto di attribuzioni con riguardo alla rappresentanza dell’Unione europea sul piano internazionale è questione assai risalente nel tempo, che si pose già all’epoca delle Comunità europee. Basti pensare che, nel giugno 1965, fra le doglianze francesi nei confronti del presidente della Commissione europea Walter Hallstein figurava pure il ruolo delle istituzioni Consiglio e Commissione nell’accreditamento degli ambasciatori degli Stati terzi presso le Comunità. Gli ambasciatori, infatti, presentavano le loro credenziali ad Hallstein, che aveva fatto riprodurre a Bruxelles il cerimoniale solenne (c. d. “tappeto rosso”) seguito nel suo Paese, allorché ai sensi dell’art. 59, par. 1, della Legge fondamentale il presidente federale, che rappresenta la Federazione nelle relazioni internazionali, procede a ricevere i rappresentanti diplomatici.

Invero, dal 1951 al 1958, Hallstein aveva assistito a decine di queste cerimonie allorché svolgeva a Bonn le funzioni di segretario di Stato agli Affari Esteri. Questa postura presidenziale di Hallstein non poteva essere tollerata da de Gaulle, che, per questo ed altri più fondamentali motivi (quali il passaggio dal voto all’unanimità alla maggioranza qualificata, nonché questioni correlate alla politica agricola) ordinò ai rappresentanti ministeriali della Francia di non partecipare più alle riunioni del Consiglio CEE, bloccando di fatto il funzionamento dell’organizzazione.

La crisi, non a caso detta della “sedia vuota”, fu risolta soltanto durante la riunione straordinaria del Consiglio, tenuta a Lussemburgo il 29 e 30 gennaio 1966, che vi dedicò un apposito passaggio al punto 3 delle conclusioni. Vi si legge che “le credenziali dei Capi missione degli Stati terzi accreditate presso le Comunità saranno presentate al presidente del Consiglio e al presidente della Commissione all’uopo riuniti”.

Si trattava, tuttavia, di una procedura poco pratica per la difficoltà di riunire a Bruxelles contemporaneamente il ministro degli Esteri dello Stato membro che assicurava la presidenza semestrale del Consiglio, il presidente della Commissione e gli ambasciatori degli Stati terzi in attesa di presentare le credenziali. Vennero quindi convenute tra Consiglio e Commissione delle modalità pratiche, tuttora applicate, secondo le quali le lettere credenziali devono essere stabilite in due esemplari originali, di contenuto identico, destinate al presidente del Consiglio europeo e a quello della Commissione e a loro presentate separatamente lo stesso giorno (prescrizione, tuttavia, quest’ultima, presto caduta in desuetudine) e senza cerimoniale.

Se il segnalato problema dell’accreditamento poteva dirsi superato non fu lo stesso quanto alla competenza a prendere posizioni ed a discutere di questioni di politica internazionale da parte dei diversi attori istituzionali comunitari. In tal senso, la frase “Who do I call if I want to call Europe?, negli anni ‘70 del Novecento attribuita all’ex segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, ma che il medesimo, pur riconoscendole una certa efficacia, ha smentito di avere mai pronunciato, riveste una indubbia rilevanza nel campo delle relazioni internazionali dell’Unione.

Le modifiche apportate dal trattato di Lisbona del 2007 ai trattati istitutivi hanno cercato di regolare il profilo della competenza ad esternare sul piano internazionale la posizione dell’Unione. Vengono in linea di conto, principalmente, tre disposizioni del trattato sull’Unione europea (TUE). In primo luogo, ai sensi dell’art. 15, par. 6, secondo comma, TUE “il presidente del Consiglio europeo assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna dell’Unione, per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza”; in secondo luogo, quest’ultimo, in virtù dell’art. 18, par. 4, TUE “vigila sulla coerenza dell’azione esterna dell’Unione e, in seno alla Commissione, è incaricato delle responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna”; in terzo luogo, ai sensi dell’art. 17, par.1 TUE, la Commissione “assicura la rappresentanza esterna dell’Unione, fatta eccezione per la politica estera e di sicurezza comune e per gli altri casi previsti dai trattati”.

Data la carente precisione delle richiamate disposizioni è del tutto evidente che l’actio finium regundorum tra le rispettive competenze è inevitabilmente dipesa dal comportamento più o meno interventista dei detti attori e da eventuali intese verbali o scritte tra essi intervenute.

Per quanto qui interessa – cioè rispetto ai rapporti tra presidente del Consiglio europeo e presidente della Commissione, che partecipano entrambi sia ai vertici bilaterali con Stati terzi sia a quelli multilaterali dei paesi industriali (G7, G20), merita menzionare che, proprio in vista della partecipazione congiunta di van Rompuy e Barroso al G20 del giugno 2011 a Toronto, venne definito un “arrangiamento pratico” sulla rappresentanza dell’Unione al loro livello (in seguito rispettato dai loro successori, fino agli attuali Michel e von der Leyen). Anzitutto, ai vertici bilaterali con gli Stati terzi partecipano entrambi i presidenti.

Se la discussione riguarda tematiche di carattere politico, prende la parola per primo il presidente del Consiglio europeo; quando, invece, vengono trattati aspetti specifici che riguardano le relazioni economiche, la priorità spetta al presidente della Commissione. Per quanto riguarda, invece, i vertici internazionali, i due presidenti partecipano insieme ed i loro sherpa ne coordinano la preparazione.

Tornando alla frase attribuita a Kissinger, va detto che il presidente Joe Biden ha immediatamente capito quali numeri di telefono comporre.

Infatti, il 23 novembre 2020, nel quadro degli scambi che i presidenti degli Stati Uniti, appena eletti e non ancora entrati in carica, hanno con i leader mondiali, ha avuto conversazioni telefoniche sia con il presidente Michel, che lo ha invitato ad intervenire ad una riunione straordinaria dei membri del Consiglio europeo (intervento poi effettivamente avvenuto alla riunione tenuta in videoconferenza il 25 marzo 2021) sia la presidente von der Leyen.

  1. La visita ad Ankara di Michel e von der Leyen al presidente Erdogăn, martedì 6 aprile, aveva un chiaro significato politico nei rapporti tra Unione e Turchia. Essa seguiva, infatti, la riunione in videoconferenza dei membri del Consiglio europeo del 25 marzo precedente, nel corso della quale la questione dei rapporti con la Turchia era stata sviscerata ampiamente tanto che, pur indicando “Mediterraneo orientale”, come titolo della parte III della dichiarazione approvata al termine dell’incontro (punti 9-19) essa è dedicata esclusivamente alla Turchia. Molteplici erano le questioni evocate sia nell’ambito internazionale (dai rapporti con la Grecia a proposito delle attività illegali di trivellazione in mare, alla questione di Cipro e ai negoziati sotto l’egida delle Nazioni Unite, ai quali l’Unione parteciperà in qualità di osservatore, al ruolo reciproco nella soluzione di crisi regionali (come quelle in Libia, Siria e nel Caucaso meridionale) sia nei rapporti economici bilaterali (dall’attuazione e modernizzazione dell’unione doganale, ai temi della salute pubblica, del clima, del terrorismo, della mobilità, all’ospitalità data ai rifugiati siriani, alla gestione della migrazione) sia, infine, con riguardo al rispetto dello Stato di diritto, dei diritti umani, in particolare dei diritti delle donne, all’indomani della denuncia da parte di Ankara della convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul nel 2011). L’incontro mirava, in sostanza, a rilanciare ed intensificare la cooperazione e il dialogo politico tra Unione e Turchia, proponendo a quest’ultima “un’agenda concreta e positiva”.

Nonostante la valenza dei colloqui, durati ben tre ore, l’attenzione dei media – peraltro tardiva, in quanto è iniziata il giorno successivo all’incontro – si è appuntata, invece, su una questione attinente al protocollo della visita, in particolare sul fatto che, nel salone del palazzo presidenziale – denominato Ak Saray, letteralmente Palazzo Bianco, dove anche molti simboli richiamano la Casa Bianca di Washington – Erdogăn ha fatto sedere Michel nella poltrona d’onore alla sua destra, con le rispettive bandiere alle spalle, la von der Leyen ha preso posto su di un divano, alla destra di Michel, mentre di fronte a lei, su di un altro divano, alla sinistra di Erdogăn, si è seduto il ministro degli esteri Mevlüt Çavuşoğlu, che, peraltro, sotto il profilo protocollare, ha sicuramente un rango inferiore a quello dell’ospite tedesca.

Si è parlato, al riguardo, di incidente diplomatico o diplomatico-protocollare (Sgrelli, Butticé), subito definito “Sofagate” per le modalità dell’incontro, il cui video è rapidamente diventato virale. Vi si nota che, mentre i due uomini si accomodano con disinvolta noncuranza, la von der Leyen resta in piedi senza nascondere l’imbarazzo e, anzi, si percepisce chiaramente da parte sua un “Ehm”, borbottio con il quale esprime chiaramente il proprio disagio e l’incertezza su dove accomodarsi, prima di essere fatta sedere sul divano, posto a diversi metri dalle due poltrone d’onore. Il coro di critiche è stato unanime: in Italia, ad esempio, ha unito sia le forze politiche di maggioranza che il solo partito all’opposizione.

Il comportamento di Erdogăn è stato definito marcatamente sessista per avere apparecchiato “due poltrone per tre”, Michel è stato criticato per non aver sottolineato lo sgarbo e non aver rimediato cedendo la propria poltrona alla von der Leyen. Neanche la presidente della Commissione è uscita indenne, in quanto ad avviso di qualche commentatore avrebbe dovuto addirittura lasciare la riunione.

  1. Il giorno successivo all’incontro, il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer, rispondendo alle domande della stampa, ha affermato che la presidente, pur “chiaramente sorpresa”, come emerge dal video, “ha preferito dare la priorità alla sostanza piuttosto che alle questioni di protocollo o di forma”, rilevando che “questo è certamente ciò che i cittadini dell’UE si aspettavano da lei”. Ed ha aggiunto che “ci metteremo in contatto con tutte le parti coinvolte per garantire che non succeda nuovamente in futuro”, sottolineando che il rango della von der Leyen “è lo stesso” di quello di Michel, il che avrebbe richiesto che i due presidenti europei sedessero “esattamente allo stesso modo”.

Quanto a Michel, in un lungo post pubblicato nella tarda serata di mercoledì 7 aprile, sulla propria pagina Facebook, dopo aver ricordato che “la stretta interpretazione da parte turca delle regole protocollari ha prodotto una situazione desolante”, si è difeso affermando che sul momento, pur rendendosi conto della spiacevolezza dell’episodio ha preferito non creare un incidente pubblico, proprio all’inizio dell’incontro, e si è detto addolorato che qualcuno abbia pensato ad una sua indifferenza quanto alla “goffagine procedurale” nei confronti della von der Leyen.

La sua difesa, peraltro, non ha sortito effetto come prova l’impressionante numero di commenti negativi ricevuti. Né miglior sorte hanno avuto i chiarimenti e le parole di rincrescimento che Michel ha pronunciato sia nell’intervista dell’8 aprile alla rete televisiva belga LN 64, sia nel corso di un incontro con un gruppo di giornali europei, il 10 aprile, durante il quale, pur assumendosi la propria parte di responsabilità, ha ammesso di non essere fino ad allora riuscito a parlare con la von der Leyen ed ha continuato a farsi scudo, per un verso, sulla necessità di non alterare i rapporti con la Turchia e, per altro verso, sul rispetto delle disposizioni protocollari.

  1. La vicenda, come ben si poteva immaginare, ha avuto anche una significativa ricaduta nel Parlamento europeo in quanto, a tambur battente, Iraxte Garcìa Perez, capogruppo dei Socialisti e democratici (S&D) al Parlamento europeo, ha affermato che Michel avrebbe dovuto quantomeno riconoscere l’errore e scusarsi.

Poi i principali gruppi politici (PPE, S&D e Renew Europe) hanno sostenuto la necessità di un dibattito in aula, alla presenza di Michel e von der Leyen, durante la prossima plenaria fissata nell’ultima settimana di aprile. Infine, alcuni deputati hanno chiesto le dimissioni di Michel (Picierno) e/o sollecitato l’approvazione di una iniziativa di censura nei suoi confronti (Moretti, Toia).

Non si conoscono reazioni della von der Leyen, salvo forse il silenzio telefonico lamentato da Michel fino all’incontro che i due hanno avuto il 12 aprile, nell’ambito delle consultazioni settimanali tra i due presidenti, che si tengono, alternativamente, nei rispettivi uffici e che questa volta si sono svolte nel palazzo della Commissione.

Né sulla questione risultano prese di posizione da parte del presidente Macron, del cancelliere Merkel, o del primo ministro portoghese António Costa, che guida la presidenza semestrale del Consiglio.

Durissima è stata la reazione del presidente di Renouveau & Democratie, principale sindacato del personale delle istituzioni europee, Cristiano Sebastiani, funzionario della Commissione europea, consegnata in una nota dell’8 aprile, diretta allo stesso Michel.

  1. Questi i fatti della vicenda, che occorre ora valutare alla luce delle regole applicabili ed, eventualmente, sulla scorta di una prassi cui fare riferimento.

Le regole, anzitutto. La fattispecie in oggetto è chiarissima. Secondo le categorie del procedimento protocollare internazionale ci troviamo di fronte ad una visita diplomatica (non di Stato perché l’Unione europea è priva della statualità), al livello supremo, compiuta da organi delle relazioni internazionali dell’Unione in uno Stato terzo, al fine specifico ed ufficiale di incontrarsi con il correlativo organo supremo dello Stato ospite. La visita ha avuto luogo nell’ufficio del Capo dello Stato turco, nella specie il palazzo presidenziale di Ankara. Dal punto di vista del diritto diplomatico si tratta di una missione speciale di leader dell’Unione in uno Stato terzo. In un caso del genere, la organizzazione della visita incombe al servizio del cerimoniale dello Stato invitante, che, in linea di principio, segue le proprie regole protocollari, adattate, se del caso, per tener conto della/delle personalità ospitate. Il servizio del cerimoniale dello Stato ospite ne mette a punto il protocollo rapportandosi con gli analoghi servizi dello Stato/ente internazionale in visita nel paese. Nella specie, la visita avrebbe dovuto essere predisposta dal servizio del protocollo turco in stretta cooperazione con il servizio del protocollo del Consiglio (che assiste anche il presidente del Consiglio europeo), attualmente guidato dal magistrato francese Dominique-Georges Marro e di quello della Commissione, diretto da Nicolas De La Grandville, già diplomatico francese, vice capo del protocollo al Quai d’Orsay e, prima, portavoce della rappresentanza permanente di Francia a Bruxelles fino al 2007 e consigliere diplomatico del presidente Sarkozy. I due servizi di regola avrebbero dovuto coinvolgere, più o meno attivamente, la delegazione dell’Unione europea ad Ankara, che svolge nello specifico le funzioni tipiche di una missione diplomatica. Il capo delegazione, Nicolaus Meyer-Landrut, che ha rango di ambasciatore, è un diplomatico tedesco con oltre 30 anni di servizio. Prima di essere distaccato al Servizio europeo di azione esterna e nominato capo delegazione ad Ankara, è stato ambasciatore a Parigi (2015-2020), e, precedentemente, membro del gabinetto della cancelliera Angela Merkel (al tempo degli incarichi ministeriali della von der Leyen), con le funzioni di consigliere e per gli affari europei, dopo aver trascorso un periodo a Bruxelles, all’inizio del millennio, prima alla rappresentanza permanente tedesca e, durante la convenzione sul futuro dell’Europa, fungendo da portavoce del presidente Valery Giscard d’Estaing.

Si tratta quindi, nelle posizioni di vertice dei protocolli di Consiglio e Commissione e della delegazione ad Ankara, di persone che sicuramente conoscono a menadito le regole e le prassi applicabili. Considerato, poi, che, come detto, le questioni protocollari di una visita ufficiale sono regolate nei minimi dettagli e di comune accordo dai servizi dello Stato ospite e da quelli delle personalità ospitate, pare alquanto incredibile apprendere, da una nota scritta del capo del protocollo del Consiglio, non presente comunque ad Ankara e dalle dichiarazioni provenienti dalla delegazione UE in Turchia, che quest’ultima non si è occupata della visita, che il gabinetto del presidente Michel ha preso direttamente contatti con il protocollo turco, aggirando anche il servizio del protocollo del Consiglio e, infine, che, poiché la presidente von der Leyen non era ancora vaccinata, all’incontro non era neppure presente alcun funzionario del protocollo della Commissione europea. Nella detta nota si ricorda che, alla vigilia dell’incontro, si è svolto un incontro preparatorio tra il servizio di protocollo presidenziale turco e la parte europea, per la quale era presente il servizio di protocollo del Consiglio, mentre era assente la delegazione dell’Unione che aveva organizzato la riunione, ad eccezione del responsabile della sicurezza regionale; era altresì presente un addetto alla sicurezza del presidente della Commissione, mentre non c’era nessuno per il servizio di protocollo della Commissione, che generalmente si occupa delle missioni del presidente. Dalla lettura della nota si apprende altresì che, durante la visita, nonostante le richieste effettuate, la parte europea non ha avuto la possibilità di visitare le sale ove si sarebbero svolti il colloquio e il convito, perché ritenute troppo vicine agli uffici di Erdogăn. Il capo del protocollo del Consiglio ha aggiunto che, “se fosse stata visitata la sala del tête-à-tête avremmo suggerito ai nostri ospiti di sostituire, a titolo di cortesia, il divano con una poltrona per la von der Leyen”. La nota si conclude con la difesa d’ufficio di Michel, di cui ricorda l’iniziativa di aver voluto includere la presidente della Commissione nella fotografia di rito, che, originariamente, avrebbe dovuto comprendere soltanto Michel ed Erdogăn.

Quanto al servizio del protocollo turco, il ministro degli esteri Çavuşoğlu, ha dichiarato che esso si è pedissequamente attenuto alle indicazioni fornite dalla parte europea, affermando testualmente che “protocollo e indicazioni sono state rispettate”. Se così è, la condotta turca è esente da critiche non potendo essere valutata a stregua di sgarbo diplomatico (Bonino) né come trattamento discriminatorio e sessista riservato alla von der Leyen, né tanto meno si può accusare la parte turca di scarsa diligenza non avendo riservando ai due ospiti due identiche poltrone d’onore. Lo prova il fatto che il capo del protocollo turco è rimasto al suo posto e non si sia invece dimesso, come pure qualcuno (Sgrelli) aveva ipotizzato. Quanto alla sorpresa della von der Leyen, come se non avesse immediatamente compreso dove sedersi, essa non può essere spiegata solo con la mancanza di pratica al riguardo, in quanto si tratta – a causa della pandemia da Covid-19, insorta nel febbraio 2020 – della prima visita ufficiale in uno Stato terzo con il presidente del Consiglio europeo, tranne una visita in Israele, nel gennaio 2020, per commemorare l’Olocausto, alla quale partecipò anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli.

Dipende piuttosto dalla grave leggerezza, al limite della “cialtroneria” (Butticé), con la quale da parte europea è stato preparato l’incontro.

Conoscendo la pignoleria dei servizi del cerimoniale nell’organizzare fin nei minimi dettagli una visita del genere, pare davvero inverosimile che una traccia scritta del protocollo della stessa non fosse stata distribuita in anticipo a tutti i partecipanti.

  1. La collocazione fisica delle due personalità europee alla presenza del presidente Erdogăn, con la posizione d’onore riservata a Michel rispetto alla von der Leyen è peraltro assolutamente conforme alle regole applicabili alla rappresentanza esterna dell’Unione ed all’ordine delle precedenze che vi è indicato.

Come è stato acutamente osservato (Risi) “Erdogăn ha studiato il Trattato [dell’Unione] e tratto le conseguenze protocollari”. Invero, l’ordine delle precedenze nella rappresentanza esterna non prevede l’equiordinazione dei presidenti di Consiglio europeo e di Commissione europea, con la conseguente parità di posizione protocollare, come pure, alquanto sorprendentemente, qualcuno (Marro, Gussetti) ha osservato. Viene, invece, riservato il primo posto al presidente del Consiglio europeo, il secondo a quello della Commissione ed il terzo all’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Con riguardo al Consiglio europeo e alla Commissione europea, tale ordine delle precedenze è assolutamente conforme alla sequenza ordinale, che figura nell’art.13 del trattato sull’Unione europea, dopo la modifica avvenuta con il trattato di Lisbona del 2007. D’altro canto, non è a caso, che nei trattati di Roma del 1957 le istituzioni sono state indicate, rispettivamente all’art. 7 trattato CEE ed all’art.4 trattato CEEA/Euratom, secondo una sequenza prioritaria (Monaco).

Nei trattati di Roma, peraltro, non si è tenuto conto della sequenza prioritaria stabilita dall’art. 4 del trattato CECA del 1951, ove l’Alta autorità era citata al primo posto, seguita da Assemblea, Consiglio dei Ministri e Corte di giustizia. Commentando l’art. 7 del trattato CEE, si è osservato al riguardo (Monaco) che “l’aver anteposto l’esecutivo all’organo politico di competenza generale, poteva significare nel 1951 un maggiore necessario rilievo delle funzioni esecutive su quelle ancora incerte dell’Assemblea, ora Parlamento. Il Trattato di Roma si avvicina, invece, anche formalmente, alla struttura dello Stato, al vertice della quale sta l’organo politico-parlamentare.

Il Consiglio qui precede, in ordine logico e prioritario, la Commissione, il che trova del resto riscontro nella preminenza che spetta al Consiglio medesimo nel contesto del Trattato”. Né, le successive revisioni dei trattati (da Roma a Lisbona, passando per il trattato di fusione degli Esecutivi del 1965) hanno alterato la precedenza del Consiglio sulla Commissione nella sequenza delle istituzioni’ (v. art. E del trattato sull’Unione europea nella versione di cui al trattato di Maastricht del 1992). Nella vicenda in esame questo protocollo risulta rispettato alla lettera. In ogni occasione della visita diplomatica la preminenza di Michel si staglia chiaramente: sale per primo le scale del palazzo presidenziale ed è alla destra di Erdogăn quando questi riceve la von der Leyen, salita per seconda e nella foto che illustra l’incontro, inoltre, è seduto affiancato ad Erdogăn durante il colloquio e di fronte a lui nel convito ed è sempre alla destra di Erdogăn nella fotografia finale.

Non risulta che tale ordine delle precedenze sia stato fissato da un atto di livello normativo secondario.

Può sembrare strano ma non lo è, dato che pure negli Stati l’ordine delle precedenze non è sempre affidato ad un testo normativo. A mia conoscenza, l’unico strumento che menzioni questi aspetti è il “Manuale della presidenza del Consiglio dell’Unione europea”, la cui ultima edizione a quanto risulta è del 2015. Sotto il profilo formale, non c’è alcun dubbio che il richiamato “Manuale” si configuri come un documento interno al Consiglio, privo di qualsivoglia valore normativo, che non vincola quindi le altre istituzioni.

Esso, nondimeno, costituisce un utile strumento, se non altro a fini interpretativi, in quanto registra e in qualche modo codifica una prassi prolungata nel tempo e per di più non oggetto di obiezioni da parte delle istituzioni/persone coinvolte.

L’ordine delle precedenze che esso reca ben avrebbe potuto essere adattato alle circostanze, in applicazione del principio di leale cooperazione fra istituzioni (pure iscritto nell’art. 13 TUE), come parrebbe di capire sia accaduto in occasione del convito che è seguito all’incontro, di cui tratteremo a breve. Sicuramente non fino al punto di sovvertirne il posizionamento, come pure taluno (Sgrelli, Valensise) ha sostenuto, ritenendo spettare la poltrona d’onore alla von der Leyen, facendo leva, per un verso, sia sul maggiore ruolo della Commissione in materia di relazioni esterne rispetto a quello del Consiglio europeo, sia sulla considerazione che Michel rappresenta gli Stati membri mentre la von der Leyen è il volto del progetto europeo; d’altra parte, si è richiamata la questione di genere, che avrebbe dovuto indurre Michel, se non altro per galanteria, a cedere la poltrona alla von der Leyen ed accomodarsi lui sul divano. Da parte di qualcuno (Dastoli), si è sostenuto addirittura che, per l’oggetto dei temi trattati durante la visita, rapportati alle competenze istituzionali in materia di relazioni esterne, Michel ad Ankara era il classico “imbucato”.

Tutti gli argomenti avanzati per criticare il trattamento riservato alla presidente della Commissione sono privi di qualsiasi reale consistenza. Il ruolo dell’istituzione di riferimento rispetto all’azione esterna non è suscettibile di modificare l’ordine delle precedenze tra Consiglio e Commissione, che è quello che deriva, come detto, dall’art. 13 TUE. Modifica, invece, l’ordine assoluto tra istituzioni dell’Unione (valido all’interno dell’Unione e non nei rapporti internazionali) in quanto espunge dal primo posto il Parlamento, dato che esso partecipa solo indirettamente all’azione esterna dell’Unione. Né ha alcun pregio l’argomento basato sul genere della destinataria del presunto sgarbo protocollare. Il cerimoniale e il connesso ordine delle precedenze non va confuso con il galateo o con il bon ton, dato che, come ben è stato detto (Sgrelli), le regole del cerimoniale sono “volte ad eliminare ogni tipo di comportamento valutativo o di carattere personale o politico, codificando un aspetto predefinito dei ranghi istituzionali secondo la loro valenza ordinamentale”.

Ben si sarebbe potuto, invece, predisporre una poltrona d’onore pure per la presidente della Commissione, come d’altra parte si è fatto, evitando un ulteriore caso, nella disposizione dei posti alla tavola rettangolare del convito diplomatico, che è stato offerto agli organi dell’Unione europea nel palazzo presidenziale. Qui, infatti, proprio all’ultimo momento, da parte europea si è chiesto ed ottenuto, proprio in base ad una regola della cortesia internazionale, di sostituire la seduta che era stata prevista per la von der Leyen e che era della medesima dimensione di quelle riservate al seguito di Michel e di Erdogăn. La modifica della seduta, peraltro, ha lasciato invariato il posizionamento di Michel ed Erdogăn che, alla tavola del banchetto, si sono seduti di fronte.

Qualche opinionista ha invocato, in senso contrario a quanto detto, due precedenti relativi a compresenze dell’allora presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, in due bilaterali UE-Turchia tenuti a margine di due G20, il primo organizzato nel 2015 proprio dalla Turchia ad Antalya ed il secondo dalla Cina a Huangzhou.

Invero, in quelle occasioni, la relativa foto di famiglia vede, su tre poltrone ravvicinate, Erdogăn al centro, con alla sua destra il presidente del Consiglio europeo e alla sua sinistra il presidente della Commissione. I precedenti, tuttavia, sono deboli, se non inconferenti per varie ragioni che rendono possibile distinguerli.

In primo luogo, la distinzione tra un incontro assolutamente formale, tenuto nel palazzo presidenziale durante una visita diplomatica nello Stato ospitante ed un incontro, assai meno formale, che può ben essere definito di lavoro, tenuto in un albergo di una città diversa dalla capitale o, addirittura in una città di un terzo Stato, a margine di vertici internazionali.

Per quanto riguarda la prassi, essa non è affatto stabile e conforme ai due precedenti menzionati. Lo ha chiaramente ammesso lo stesso ex presidente della Commissione europea Juncker, intervistato telefonicamente da Politico, riconoscendo non solo che, dal punto di vista delle precedenze protocollari, il posto n. 1 spetta al presidente del Consiglio europeo ma altresì ricordando che pure a lui è capitato di dover prendere posto in un divano, in occasione di visite in Stati terzi con i predecessori di Michel, cioè con von Rompuy, prima, e, successivamente, con Tusk.

L’argomento secondo cui Michel avrebbe svolto la parte dell’imbucato è infine del tutto inconsistente.

Esso non tiene conto, in particolare, delle valutazioni del giudice dell’Unione, nel 2017 e nel 2018, ha espresso pronunciandosi sul quadro formale di collaborazione con la Turchia nelle cause proposte da tre richiedenti asilo contro il Consiglio europeo, avverso la c.d. dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016 diretta a risolvere la crisi migratoria. Come noto, il Tribunale dell’Unione, con tre ordinanze della prima sezione ampliata del 28 febbraio 2017 (cause T-192/16, T-193/16 e T-257/166) si è dichiarato incompetente a conoscere dei ricorsi ai sensi dell’art. 263 TFUE e, pertanto, li ha respinti, in quanto non diretti contro un atto imputabile al Consiglio europeo, nella misura in cui era stato adottato dai rappresentanti degli Stati membri riuniti fisicamente nel Palazzo Justus Lipsius, al tempo condiviso dal Consiglio europeo e dal Consiglio. Questi rappresentanti agivano non in qualità di membri del Consiglio o del Consiglio europeo, bensì nella loro qualità di capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione (punto 44). Dalla ricostruzione del Tribunale – sulla quale la Corte di giustizia non si è pronunciata in sede di impugnazione, avendo dichiarato i ricorsi manifestamente irricevibili emerge tuttavia un aspetto che consente di valutare al giusto il ruolo del presidente del Consiglio europeo proprio nelle relazioni con la Turchia. Invero, nella dichiarazione adottata il 7 marzo 2016 in esito all’incontro con il primo ministro turco organizzato per affrontare la questione della migrazione e valutare, per un verso, i progressi del piano d’azione comune (“EU-Turkey joint action plan” del 15 ottobre 2015) e, per altro verso, le proposte avanzate da parte turca, si legge che “il presidente del Consiglio europeo porterà avanti dette proposte e definirà i dettagli con [Repubblica di Turchia] prima del Consiglio europeo di marzo (…)” (punto 4).

Pertanto, dalla documentazione prodotta in giudizio risulta che i capi di Stato e di governo hanno affidato al presidente del Consiglio europeo un compito di rappresentanza e di coordinamento dei negoziati con la Repubblica di Turchia in loro nome, il che spiega la presenza di quest’ultimo alla riunione del 18 marzo 2016. Del pari, la presenza del presidente della Commissione durante la detta riunione si spiegherebbe con il fatto che tale riunione rientrava nel proseguimento del dialogo politico con la Repubblica di Turchia iniziato dalla Commissione nell’ottobre 2015 sulla base dell’invito dei capi di Stato e di governo del 23 settembre precedente (punto 68).

Inoltre, fra gli atti di causa menzionati nelle ordinanze figura una nota del servizio del protocollo del Consiglio, che, per quanto riguarda la riunione del 18 marzo 2016, precisa che l’arrivo dei partecipanti “avrebbe avuto luogo senza ordine protocollare” (punto 65), a riprova del ruolo del cerimoniale.

Da quanto riportato è incontestabile il ruolo specifico del presidente del Consiglio europeo che, rispetto alla Turchia, esercita non solo i compiti attribuitigli dall’art. 15, par. 6, secondo comma, TUE, ma svolge, altresì, un compito di rappresentanza e di coordinamento dei negoziati affidatogli dai capi di Stato e di governo degli Stati membri, agenti in tale veste e non in quanto componenti del Consiglio europeo. Ne viene che ai detti incontri, quali, nel caso in esame, la visita diplomatica in Turchia, il presidente del Consiglio europeo, lungi dall’essere un “imbucato”, è invece pienamente legittimato a partecipare.

Per concludere sull’ordine delle precedenze nelle relazioni internazionali dell’Unione e sulla preminenza protocollare del presidente del Consiglio europeo su quello della Commissione, stante la detta priorità discendente dall’art. 13 TUE, valga, altresì, una controprova meramente empirica, basata sull’ordine delle precedenze applicato alle cerimonie ufficiali nel Regno del Belgio, Stato membro la cui capitale ospita stabilmente i presidenti di Parlamento, Consiglio europeo e Commissione, come pure il presidente semestrale del Consiglio nel caso delle relative riunioni. Il detto ordine, non a caso conferma la sequenza di cui all’art.13 TUE. Infatti, il presidente del Parlamento figura all’ottavo posto, il presidente del Consiglio europeo al decimo, il presidente semestrale del Consiglio al tredicesimo e, infine, al quindicesimo, è menzionato il presidente della Commissione europea.

Ciò non toglie che precisazioni operative, del tipo dell’arrangiamento pratico del 2010, quanto ai ruoli rispettivi nelle sedi bilaterali e internazionali, sarebbero quanto meno opportune. Nel primo incontro a quattr’occhi dopo l’episodio di Ankara, avvenuto il 12 aprile nel palazzo Berlaymont, la von der Leyen ha proposto di definire nuove regole per le missioni congiunte e Michel si è dichiarato d’accordo. Concetto ribadito con maggior forza dalla Von der Leyen, il giorno successivo, dinanzi alla Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo Vedremo quindi un prossimo futuro il risultato pratico di questa intesa preliminare.

  1. Per quanto detto, la condotta di Michel ad Ankara non ha violato alcuna regola protocollare. Né il bon ton e la galanteria non giocano alcun ruolo in materia di cerimoniale. Pertanto, vanno ritenute soltanto valutazioni di ordine politico, alcune prese di posizione, assolutamente prive di rilevanza giuridica, di parlamentari europee di S&D (Moretti e Toia), che hanno sollecitato il proprio gruppo politico perché si faccia “promotore di una iniziativa di censura”, nei confronti di Michel, ritenuto palesemente inadeguato. Appare evidente, al riguardo, che il termine “censura”, usato nella nota, non può che avere il significato di “biasimo”, “severa riprensione” o “disapprovazione politica”, essendo inconcepibile che le dette parlamentari facessero riferimento alla c. d. mozione di censura, che il Parlamento europeo, ex art. 234 TFUE ed art. 127 regol. PE, può promuovere soltanto nei confronti della Commissione europea e non pure riguardo al presidente del Consiglio europeo. Né miglior sorte può avere la richiesta di dimissioni, avanzata sia da parlamentari (Picierno) sia da cittadini europei (nella piazza virtuale del web), atteso che Michel, per un verso, ha fatto sapere di non avere la minima idea di renderle e, per altro verso, che, come detto, la sua condotta, per tutte le ragioni anzidette, non configura in alcun modo, diversamente da quanto qualcuno (Dastoli) abbia prospettato, quella ipotesi di colpa grave, che consentirebbe al Consiglio europeo, ai sensi dell’art. 15, par. 5 TUE e dell’art. 1, par. 4.reg. int. Cons. eur., di deliberare, a maggioranza qualificata, la cessazione anticipata del mandato di Michel, prima della sua scadenza naturale. È poi da vedere se, in quella sede, questa vicenda impedirà a Michel di essere confermato per un secondo e ultimo mandato, come finora avvenuto con i suoi predecessori Tusk e van Rompuy.
  1. Il vero insegnamento della vicenda, frutto senza alcun dubbio dell’approssimazione con la quale Bruxelles ha organizzato gli aspetti protocollari dell’incontro, è l’aver fatto emergere in modo plastico, da un lato, l’incapacità dell’Unione di veicolare un messaggio chiaro di politica estera e di individuare la figura istituzionale che deve esternarlo (Colombo) e, dall’altro, la presenza di una “architettura bicefala” (Valensise) o, addirittura, “quadricefala” (Dastoli) della rappresentanza internazionale dell’UE.

Come noto, una tale struttura è il frutto di una precisa volontà degli Stati membri, volta a mantenere buona parte dell’azione esterna dell’Unione sul piano intergovernativo. Al fine di evitare la frammentazione e rendere unitaria l’azione dell’Unione, in questa occasione si è proposto di riprendere l’idea, già avanzata in sede di Convenzione europea, ed oggetto di approfondite analisi da parte degli studiosi, volte a fondere la presidenza del Consiglio europeo con quella della Commissione (Valensise, Letta, Dastoli), suggerendo che di questo profilo si discuta nel quadro della Conferenza sul futuro dell’Europa, che si aprirà il prossimo 9 maggio.Mi limito ad osservare in proposito che una riflessione sull’identità dell’Unione in materia di relazioni internazionali ed una chiarificazione dei ruoli quanto ad esprimerla, sarebbe di sicuro benvenuta. Ricordo a me stesso, comunque, che molti anni fa, commentando la disposizione sul presidente del Consiglio europeo nel trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (art. I-21, poi confluito nell’art. 15, par. 6 TUE) rilevai che l’unificazione delle funzioni nella stessa persona non gioverebbe alla distinzione e separazione dei poteri nell’Unione europea, già intaccate dal “duplice cappello dell’alto rappresentante.

Osservai, inoltre, che il dovere generale della Commissione, nell’esercizio delle sue responsabilità, di garantire la propria indipendenza e l’obbligo per i commissari di non sollecitare ed accettare istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo (attuale art. 17, par. 3, secondo comma, TUE) dovrebbe rendere incompatibile per il presidente della Commissione di ricoprire contemporaneamente la carica di presidente del Consiglio europeo.

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