Progetto per l’Europa del futuro

di Roberto Nigido

PiuEuropei ha informato i suoi lettori dell’ intenzione dei Presidenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione di convocare una conferenza per raccogliere pareri e proposte dei cittadini, e in particolare dei giovani, su come “plasmare il futuro del progetto europeo”. L’iniziativa richiama quella, per vari versi analoga, della Convenzione incaricata nel 2001 di elaborare una “Costituzione per l’ Europa”.

L’ attuale progetto dei tre Presidenti sembra proporsi – saggiamente – obiettivi formali meno ambiziosi.

La decisione di dare il titolo di “Costituzione“ al trattato prodotto dalla Convenzione per migliorare la funzionalità dell’ Unione Europea, la sovraesposizione mediatica dei lavori della Convenzione e l’ enfasi posta dagli organizzatori sui suoi risultati sono state probabilmente le principali cause, anche se non le uniche, del rigetto di quel trattato nelle consultazioni popolari tenutesi nel 2005 in Francia e nei Paesi Bassi.

Charles Michel, David Sassoli e Ursula von der Leyen

Le modalità della Convenzione avevano infatti generato seri malintesi nell’ opinione pubblica circa l’ interpretazione da dare alla portata del trattato. Quest’ultimo non istituiva una costituzione per uno stato federale che non esisteva ancora, non creava il super-stato europeo e non annullava le identità statuali nazionali, come molti cittadini, non solo in Francia e nei Paesi Bassi, erano stati indotti a credere. Codificava i trattati preesistenti, apportandovi modifiche in senso federale significative, ma certamente non decisive per quanto riguarda la natura non ancora pienamente statuale del processo di integrazione. Dopo il fallimento del “Trattato Costituzionale”, la sua sostanza è stata salvata dal Trattato di Lisbona del 2007, che ha laboriosamente ripreso la maggior parte delle modifiche in esso contenute per inserirle – a pettine – nei Questa premessa di metodo è doverosa per mettere in guardia dal non ripetere fughe in avanti mediatiche e per richiamare l’attenzione sull’esigenza di valutare attentamente il potere evocativo delle parole prima di utilizzarle. L’iniziativa delle tre Istituzioni è certamente molto opportuna. Lo è in particolare in questo momento in cui si è finalmente manifestata la volontà di alcuni Paesi membri e delle Istituzioni europee di rilanciare il processo di integrazione alla luce delle sfide, vecchie e nuove, alle quali l’Europa è confrontata e delle attese dei cittadini. Queste attese vanno registrate e tenute in conto ai fini delle azioni concrete da intraprendere, senza inseguire progetti velleitari. Obiettivi molto rilevanti per la sicurezza e il benessere dei cittadini e la difesa dei valori europei sono iscritti da tempo nei trattati, ma rimangono in buona parte inattuati, per mancanza di volontà politica dei governi e/o di strumenti giuridici adeguati previsti nei trattati stessi. A queste due categorie appartengono, sia pure in misura diversa, la politica economica, la politica dell’immigrazione, la politica estera e di sicurezza, la politica di difesa.

L’unione economica e monetaria è stata indicata come un obiettivo costituente del progetto europeo, in quanto logica derivazione del mercato comune, sin dal Vertice tenuto a L’Aja nel 1969. L’unione monetaria è stata realizzata con un assetto istituzionale compiutamente federale dal Trattato di Maastricht del 1992: l’EURO circola dal 2002 come moneta unica tra i Paesi che vi aderiscono; è emesso dalla Banca Centrale Europea la quale definisce la politica monetaria della zona EURO. Le resistenze nazionali emerse a Maastricht hanno impedito che la politica economica, di bilancio e fiscale fosse affidata a istituzioni federali: è rimasta di competenza dei singoli Paesi membri.

Il coordinamento a livello europeo previsto dal trattato si è rivelato insufficiente, pur essendo migliorato negli ultimi anni, ai fini di assicurare uno sviluppo economico armonioso nell’ insieme dell’ Europa e di fare fronte a shock endogeni ed esogeni.

Un progresso molto significativo è stato compiuto con la decisione del luglio del 2020 di dare maggiore consistenza al bilancio comune e di dotare l’Unione della capacità di indebitarsi al di là delle risorse proprie.

E’ quello che fanno tutti gli Stati nazionali per finanziare le spese che ritengono indispensabili ma che superano l’ammontare delle imposte raccolte. Ulteriori miglioramenti potrebbero essere conseguiti se fossero adottate alcune delle proposte presentate negli scorsi anni dalle Istituzioni e da vari Paesi Membri per rafforzare il coordinamento delle politiche economiche nazionali senza modificare il trattato. Quest’ultimo prevede infatti già la regola della maggioranza in seno al Consiglio per l’adozione delle decisioni in materia di politica economica e di bilancio: regola indispensabile per qualsiasi progresso, soprattutto a 27. Quella che è mancata finora dunque è la volontà politica di dare compiuta attuazione a quanto previsto dal Trattato. Tuttavia anche un coordinamento rafforzato delle politiche economiche non eliminerà le distorsioni commerciali e produttive tra i Paesi membri, senza l’ armonizzazione dei livelli di fiscalità: armonizzazione sinora impedita dalla regola dell’ unanimità prevista per l’ adozione delle decisioni ad essa relative.

Analoghe considerazioni valgono per la politica dell’ immigrazione, la quale è rimasta sostanzialmente ferma al palo, nonostante le disposizioni previste dal Trattato per la sua attuazione, inclusa la regola della maggioranza. E’ certamente mancata la volontà politica dei Paesi membri.

Mancano però nel Trattato anche strumenti validi per far rispettare le decisioni prese, come previsto invece per le decisioni in materia di politica di bilancio.

E’ illusorio immaginare una “politica estera comune” fino a quando l’ Unione Europea non avrà assunto in questa materia un assetto federale: fino a quando cioè i Paesi membri non avranno deciso di affidare la propria politica estera a istituzioni europee (analogamente a quanto hanno fatto in materie quali il mercato interno, la politica commerciale, la politica della concorrenza e la politica monetaria). Sono concepibili tuttavia e sono state concepite e attuate – con risultati variabili – specifiche iniziative di politica estera. L’esperienza ha messo in evidenza l’ estrema difficoltà per il Consiglio di prendere decisioni impegnative e tempestive dato che queste decisioni devono raccogliere l’unanimità dei Paesi membri. Anche in politica estera è indispensabile adottare la regola della maggioranza, se l’Unione Europea intende svolgere il ruolo internazionale che le spetta e del quale ha bisogno.

Più in generale, è maturato da tempo il momento di abolire la regola dell’ unanimità in tutti gli articoli del Trattato per i quali è ancora prevista. Ne è dimostrazione quanto è avvenuto per il mercato interno, che ha potuto essere realizzato solo dopo che la regola della maggioranza è stata introdotta in questa materia dall’ “Atto Unico” del 1987.

Il passaggio alla maggioranza in politica estera richiede uno straordina- rio sforzo di volontà politica da parte dei Paesi membri. Questa ipotesi non appare tuttavia più così irrealistica, in particolare dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione, nella pre- sente congiuntura mondiale.

I governi che fossero disposti a metterla in atto tra di loro potrebbero del resto fare ricorso alle “cooperazioni rafforzate”: queste sono previste dal Trattato qualora “gli obiettivi ricercati non possano essere conseguiti entro un temine ragionevole dall’Unione nel suo insieme”, a condizione che partecipino almeno nove Stati membri .

La rimozione dell’ ostacolo dell’unanimità non sarebbe tuttavia sufficiente a rendere efficaci le iniziative di politica estera dell’ Unione, se non sostenute da adeguati mezzi militari e dalla determinazione di utilizzarli. Allo stato attuale gli Stati europei non hanno la capacità militare – anche operando collettivamente – di avviare credibili iniziative di politica estera per scongiurare, senza il sostegno degli Stati Uniti, i pericoli che minacciano l’ Europa alla soglia della sua stessa casa: la rinnovata aggressività russa, i conflitti nel Medio Oriente e i loro rigurgiti nel Mediterraneo, l’incapacità dei Paesi africani di assicurare da soli la stabilità, la sicurezza e lo sviluppo economico del continente africano. E l’Europa è strettamente connessa all’Africa sotto molteplici aspetti. E’ ora possibile ricominciare a contare sul contributo degli Stati Uniti per contenere la Russia e per cercare di riportare ordine in Medio Oriente, alla condizione che i Paesi europei si dimostrino solidali con Washington (anche per quanto riguarda i rapporti con la Cina): condizione che non è stata ancora chiarita da tutti i governi dei Paesi dell’ Unione.

Ma è indispensabile prendere atto che aiutare l’ Africa a trovare pace e benessere è responsabilità innanzitutto e soprattutto degli europei.

Spetta a noi europei occuparcene seriamente, se vogliamo evitare che l’Africa finisca per riversarsi fisicamente sul nostro continente per fuggire dai suoi drammi interni o che diventi una colonia della Cina con conseguenze comunque molto negative anche per l’Europa.

Senza pretendere per ora che venga messa in atto una politica comune della difesa affidata a istituzioni sovranazionali, come cittadini europei possiamo chiedere ai nostri governi di rafforzare le capacità di difesa nazionali per portarle a livelli credibili. Questo obiettivo potrà essere raggiunto anche con il concorso degli strumenti finanziari europei già esistenti (il Fondo Europeo per la Difesa) e auspicabilmente di nuove regole europee in materia di disciplina di bilancio.

L’efficacia dell’ impegno nazionale dei Paesi membri dell’ Unione potrà essere massimizzata mediante la produzione in comune di armamenti e il coordinamento delle operazioni militari sotto un cappello europeo.

Anche in questo caso il Trattato offre un utile strumento: quello delle “cooperazioni strutturate permanenti“. Ad esse possono far ricorso gli Stati che “rispondano a criteri più elevati in termini di capacità militari” e che intendano assumere responsabilità “più vincolanti ai fini delle missioni più impegnative”.

I Paesi europei hanno le capacità economiche e tecnologiche e dispongono di utili strumenti giuridici e finanziari forniti dall’Unione per assicurare la difesa congiunta dei valori della nostra civiltà: valori che sono seriamente minacciati su più fronti.

La capacità di difenderli dipende dalla nostra volontà. L’espressione concreta di questa volontà sarebbe tra l’altro conforme agli impegni che abbiamo assunto in seno all’ Alleanza Atlantica.

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