Diritti umani, l’Europa dà un segnale a Pechino

di Fabio Morabito

È un segnale. Blando, morbido, ma non è una carezza. E soprattutto – come era importante che accadesse – non è stata accolto come una carezza, ma come una sfida. L’Unione europea per la prima volta negli ultimi trent’anni (bisogna andare indietro nel tempo al massacro per la protesta di Piazza Tienanmen, anno 1989) ha deciso – sia pur simboliche – sanzioni alla Cina per violazione dei diritti umani. Il fatto scatenante è la repressione degli uiguri (minoranza cinese di prevalente fede musulmana). Un milione di uiguri in Cina, nella grande regione nord-occidentale dello Xinjiang, sarebbero stati internati in campi di rieducazione, lager dove sono costretti ai lavori forzati e a subire un altrettanto forzato indottrinamento. Che siano un milione, è un’ipotesi plausibile, anche se un’ipotesi. Ci sono ammissioni ufficiali, naturalmente sbiadite in un linguaggio burocratico, da Pechino, che parla di “rieducazione preventiva”. Se sono un milione, significa che è internato nei lager un decimo della popolazione uigura della regione.

Piazza Tien An Men

La sanzione decisa da Bruxelles (decisa formalmente dal Consiglio europeo dei ministri degli Esteri dei 27 Paesi) è un soffio, perché consiste in molto poco. Consiste nel proibire l’ingresso nell’Unione europea a quattro, solo quattro, dirigenti di seconda fila della provincia dove avviene l’internamento. Quattro burocrati del partito comunista, che non avevano probabilmente intenzione di andarci in Europa, fossero stati anche tempi normali. E consiste anche nell’emargo su un’industria del cotone nello Xinjiang. Una singola industria, come ce ne sono tante (ma questa è la fornitrice dell’esercito cinese), quindi senza colpire l’export di Pechino, ma un singolo riferimento che produce per l’economia interna.

Reazione blanda. Ma almeno una reazione, su un dramma a cui l’Occidente sta assistendo da anni senza seriamente intervenire. È l’applicazione di un sistema sanzionatorio che l’Unione europea ha approvato alla fine dello scorso anno, e che prevede per soggetti internazionali due tipi di iniziative: il divieto di entrare nell’Unione europea, e il blocco dei beni (se possibile). 

La Cina ha risposto con le sue di sanzioni, che hanno colpito dieci persone fisiche (tra cui 5 eurodeputati) e quattro istituzioni (tra cui il Parlamento europeo e il Consiglio europeo). Colpiti a quale titolo? Per Pechino fanno disinformazione, e diffondono notizie false sulla sovranità cinese. Colpiti come? Non potranno avere il visto per viaggiare in Cina. Tra gli europarlamentari sanzionati c’è Raphael Glucksmann (figlio del più celebre filosofo Andre) che ha commentato dicendosi onorato del provvedimento. 

Naturalmente c’è l’indignazione delle autorità europee. Lo spagnolo Josep Borrell, che nella Commissione europea ha la responsabilità per gli Esteri, definisce la reazione cinese inaccettabile. Il presidente dell’europarlamento, David Sassoli, aggiunge che ci saranno “conseguenze”. 

Fino ad ora, però, non è successo niente sul piano pratico. Ma sul piano delle relazioni diplomatiche, qualcosa sì. Prima di tutto in queste blande iniziative la Ue si è coordinata con gli Stati Uniti (e la Gran Bretagna) dando un segnale confortante al nuovo presidente Joe Biden, che questo chiedeva. Sostegno dell’Europa alle posizioni di Washington e in contrapposizione alla Cina, grande competitor nell’economia, scegliendo il campo dei diritti umani, dove è più facile raccogliere un consenso nelle istituzioni (come le Nazioni Unite) e nella comunità internazionale più largamente intesa.

Si tratta di un primo fatto. È la reazione cinese, solo perché sgarbo verso le istituzioni europee, a far diventare più visibile l’incrinatura. C’era il tempo in cui il Dalai Lama poteva essere accolto dai capi di Stato esteri solo dalla porta di servizio, per non offendere la suscettibilità cinese. Molto probabilmente slitterà la decisione dell’Europarlamento sull’accordo commerciale Unione Europea-Cina, voluto da Germania e Francia alla fine dello scorso anno, e che quindi diventa carta sospesa, in un clima diverso rispetto solo a quello di pochi mesi fa. Il dramma degli uiguri, definito “persecuzione” da Papa Francesco, era cosa nota. L’Europa se ne era accorta, il Parlamento europeo si era già espresso, ma la crisi ora sta prendendo una piega diversa, e se l’Unione europea sarà conseguente, qualcosa potrebbe cambiare nei rapporti con Pechino. 

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