La Francia dopo 36 anni rinuncia a proteggere assassini e terroristi

Macron accoglie la richiesta di Draghi, medicata una ferita. I retroscena della svolta. Ruolo e storia di Dupond-Moretti 

di Monica Frida

La cosiddetta “dottrina Mitterrand” è lo scudo che ha protetto i condannati per reati di violenza politica, tutti della sinistra estrema, per lo più ex-terroristi, alcuni colpevoli di omicidio, che si erano rifugiati in Francia dall’Italia. Uno scudo peraltro mai cristallizzato da una norma. Trentasei anni dopo questa scelta politica teorizzata dall’allora presidente francese Francois Mitterrand, un blitz all’alba ha medicato una ferita di decenni tra i due Paesi. La polizia parigina, il 28 aprile scorso, ha effettuato sette arresti, cinque uomini e due donne, di un elenco di dieci persone. Due dei tre scampati alla cattura – dati per fuggitivi- dopo 24 ore si sono presentati spontaneamente davanti ai giudici.L’unico della lista sfuggito è Maurizio Di Marzio, che doveva scontare un residuo di cinque anni di pena per un tentato sequestro. Il 10 maggio il suo reato è finito in prescrizione, ed ora è un uomo libero. Un altro dei nove, Luigi Bergamin, che avrebbe dovuto scontare 16 anni e 11 mesi di prigione, ha visto prescritta – dopo trent’anni – la sua pena per decisione della Corte d’Appello di Milano resa pubblica l’11 maggio. Erano state proprio le imminenti prescrizioni a diventare la ragione, o il pretesto, per far chiedere dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia, una volta che l’Eliseo aveva deciso di procedere, di non perdere altro tempo. Appena il giorno dopo il blitz, a tutti gli arrestati – e ovviamente anche ai due che si sono spontaneamente presentati – è stata concessa la libertà vigilata.

I media italiani hanno seguito anche in modo emotivo i due cambi di scena in 24 ore: prima l’arresto, poi la scarcerazione. Ma per la prima volta si pone fine a una pagina incredibile nella quale alcuni assassini, in fuga da un Paese democratico, erano stati protetti per quasi quarant’anni da un altro Paese democratico. Come se fossero in fuga da una dittatura. Come se i loro delitti avessero una giustificazione assoluta nella motivazione politica.La storia di questa pagina di cronaca e diplomazia non è ancora scritta in tutti i suoi passaggi. La sensazione diffusa, ribadita in alcuni commenti di magistrati e politici, è che la Francia considerasse l’Italia un Paese dalla democrazia incompleta, e che negli anni Settanta fosse esplosa una sorta di guerra civile tra proletari rivoluzionari contro uno Stato neofascista e repressivo.

Non era così. In quegli anni l’Italia aveva il Partito comunista più forte d’Europa, e non ci fu bisogno del voto dei comunisti (si astennero) per approvare nel 1970 lo Statuto dei lavoratori.Ma anche questa interpretazione dei pregiudizi (e dell’arroganza) francese è incompleta. Perché la dottrina Mitterrand nacque dopo un colloquio del Presidente francese con l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, anche lui socialista. E Mitterrand ammise di averne parlato con Craxi, ma certo non che il primo ministro italiano ne avesse condiviso la decisione anche se l’idea di un accordo tra i due è tuttora informalmente accreditata dall’Eliseo. In effetti è possibile che allora il nostro governo, che aveva ragionevole fretta di uscire dalla pagina dei cosiddetti “anni di piombo” non fosse contrario che alcuni brigatisti rossi – che non avevano ucciso – lasciassero anche così la lotta armata, spezzando i collegamenti con la clandestinità in Italia. Anche perché nella sua enunciazione originale la dottrina Mitterrand aveva escluso di proteggere chi era stato colpevole di fatti di sangue. Abbiamo visto che non è andata così e che negli anni è stata data l’interpretazione più ampia di questa sorta di salvacondotto, dove la Francia si è permessa di giudicare non punibili gravi reati commessi in Italia. È come se i terroristi islamici colpevoli di stragi in Francia potessero trovare rifugio a Roma senza venire estradati. Inconcepibile, oltre tutto all’interno di condivisi principi di stato di diritto e di appartenenza da Stati fondatori dell’Unione europea.

Alla teoria dell’estradizione come compimento di una vendetta – che ha ancora presa tra gli intellettuali della sinistra dei due Paesi – ha risposto il ministro francese della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, che ha proprio paragonato gli italiani arrestati nell’operazione “Ombre rosse” ai jihadisti del massacro del Bataclan a Parigi.  C’è chi, come l’ex brigatista Roberta Cappelli ha ringraziato “chi ha capito la nostra storia” definendo la dottrina Mitterrand “una traiettoria diversa da quella unicamente penale”. Anche a lei, come a tutti, è stata concessa la libertà vigilata e non la custodia cautelare in attesa del provvedimento di estradizione. Che diventerà operativo, ma quando? Tra due e tre anni, il tempo che la legge francese concede se ci saranno – ed è ovvio che ci saranno – dei ricorsi. L’iter giudiziario non si limita alla Cassazione. Infatti sarà poi comunque necessario un decreto del primo ministro, al quale si potrà ancora fare appello, questa volta al Consiglio di Stato.

Per questo il blitz di Parigi ha “medicato” una ferita, e non l’ha guarita.L’arrestato più noto non è un ex-brigatista, ma uno dei fondatori di Lotta Continua Giorgio Pietrostefani, peraltro anche il più anziano del gruppo (ha 77 anni). I giornali hanno parlato di ex-terroristi arrestati, anche se questo non potrebbe valere per Pietrostefani: il giudizio finale del lunghissimo processo che lo ha condannato come mandante per l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi ha escluso l’aggravante del terrorismo.È proprio attorno al nome di Pietrostefani che si è concentrata, in Italia, la maggiore solidarietà degli intellettuali di sinistra, anche perché il gruppo di Lotta Continua è stato fecondo di futuri direttori di giornali, sia nella carta che nella tv. Giornalisti che nel tempo hanno anche cambiato colore politico, ma hanno difeso strenuamente i tre (Ovidio Bompressi e Adriano Sofri con Pietrostefani) accusati dal pentito Leonardo Marino, che partecipò al delitto come autista. Un gruppo di nomi famosi, da scrittori a cineasti come Eric Vuillard e Jean Luc Godard, all’attrice italo-francese Valeria Bruni Tedeschi, si sono affrettati a firmare un appello al presidente francese Emmanuel Macron perché “rispetti l’impegno della Francia nei confronti degli esuli italiani”. E già in quella parola “esuli” c’è il segno di una percezione dei fatti estranea alla realtà.

La dottrina Mitterrand è durata ben oltre la presidenza del socialista che l’ha ideata. E in qualche modo era cominciata prima: nel 1981 il primo ministro Pierre Mauroy teorizzò la differenza di due tipi di militanti, gli irriducibili e quelli “normalizzabili”. E Mitterrand si trovò già con centinaia di militanti in fuga della galassia della sinistra extraparlamentare e terrorista che, passando le Alpi, avevano trovato rifugio in Francia. Si preoccupò, certo, anche delle conseguenze di questa presenza, e la sua “dottrina” le ha disinnescate: l’abbandono della lotta armata era la condizione necessaria perché lo scudo venisse mantenuto. Tutto è stato facilitato anche dalle differenze degli ordinamenti giudiziari francese e italiano. Ad esempio: molti dei fuggiaschi erano stati condannati in contumacia, condizione che in Francia è ammessa solo per piccoli reati. Le richieste di estradizione da Roma sono state frequenti, sia pure nel tempo di alcuni decenni. Ora Parigi pensa di poter chiudere il dossier con questi dieci nomi, i più significativi di quei pochi – non prescritti, ancora vivi, accusati di reati gravi – che sono rimasti dei trecento dei tempi di Mitterrand. È uno dei punti che l’Eliseo ritiene di poter mettere all’attivo da questa operazione.

C’è chi parla di iniziativa di Macron (che si è attribuito paternità – e responsabilità – della svolta) in chiave di politica interna, in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno per trovare consensi a destra proprio ora che in Francia si sta discutendo di una nuova legge antiterrorismo.I giornali italiani hanno invece attribuito a Mario Draghi primo ministro lo sblocco della situazione. Certo con il primo governo Giuseppe Conte non sarebbe stata possibile un’intesa che sarebbe stata enfatizzata da Lega e Cinque stelle come un trionfo della nuova politica (così era avvenuto con la consegna di Cesare Battisti da parte del Brasile). Ma con Draghi – invisibile nei commenti del giorno dopo – le condizioni erano ideali. Catarbia, a blitz avvenuto, ha parlato di una telefonata tra Draghi e Macron che ha definito “decisiva”.

Ma il ruolo più incisivo lo ha avuto un italo-francese. Il ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti, che aveva voluto aggiungere al primo cognome (Dupond) quello della madre, Elena Moretti. La madre che lo ha cresciuto dopo essere rimasta vedova giovanissima del marito operaio, lavorando una vita come donna delle pulizie. Origini umili, che non temono lezioni dalla borghesia di sinistra: “La lotta contro il terrorismo è una lotta europea” ha ricordato, a operazione conclusa, Dupond-Moretti. Solo nel luglio scorso era stato nominato ministro.Da pochi mesi quindi le condizioni erano diventate le più favorevoli perché la situazione finalmente si sbloccasse. A Dupond-Moretti aveva parlato in video-conferenza Marta Catarbia l’8 aprile scorso, sollecitandolo proprio sul dossier dei militanti protetti dalla compiacenza francese. C’erano poi state nel frattempo alcune tappe che avevano avvicinato questa decisione. Due anni fa l’Italia aveva ratificato la Convenzione di Dublino che consente di applicare la legislazione del Paese richiedente l’estradizione, adeguando i tempi di prescrizione.

Gli ex-terroristi, e Pietrostefani, non sono ancora stati estradati (e ci vorrà, come abbiamo visto, parecchio) che in Italia si parla già di un’amnistia. Anche se alcuni familiari delle vittime non riescono, comprensibilmente, a pensare che il tempo dell’impunibilità abbia la meglio. A una “commissione per la verità e la riconciliazione” come ci fu in Sudafrica dopo la fine dell’apartheid tra bianchi e neri, pensa Mario Calabresi, giornalista e scrittore, ex-direttore di Repubblica, che è figlio del commissario Luigi ucciso da Lotta continua. E lo ha suggerito scegliendo parole nobili, augurandosi anche clemenza, in cambio però di verità su quei tempi e su quei fatti così irrisolti.

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