Scuola, perché l’Italia è la malata d’Europa

di Fabio Morabito

C’è qualcosa di particolarmente immorale nei tagli di bilancio all’Istruzione: sono tagli ai destini delle future generazioni, alle quali però lasceremo un debito pubblico pesante e un tessuto sociale impoverito. Negli ultimi trent’anni quando non si è tagliato non si è neppure investito. La scuola, l’università e la ricerca rappresentano per tutti i politici – a parole- la base su cui far crescere il Paese. Ma nei fatti, quando si tratta di scegliere come far quadrare i conti del bilancio non solo non si pianifica, ma si sacrifica. Un modello che è il contrario dei Paesi più avanzati dell’Unione europea. Negli ultimi dieci anni l’Italia ha tagliato le risorse all’Università del 17%, la Germania le ha aumentate del 40%.

Più Europei n. 72

Pochi soldi, nessuna visione. Chi una visione ce l’ha come l’ex ministro Lorenzo Fioramonti (Cinque stelle, ora gruppo misto), è stato alla scrivania di Viale Trastevere per quattro mesi. Si è dimesso nel Natale 2019 perché non era riuscito ad ottenere quello che aveva chiesto, tre miliardi in più all’anno di investimenti. Tre miliardi che secondo lui – economista – avrebbero rappresentato il segnale di un cambio di tendenza. Il primo ministro Giuseppe Conte non ha neanche provato a trattenerlo, e ha “spacchettato” il ministero in due, affidando a Lucia Azzolina (sempre Cinque stelle) quello dell’Istruzione, e a Gaetano Manfredi (rettore della Federico II a Napoli, area Pd) quello dell’Università e della ricerca. Divisione che resiste nel governo Draghi, e del resto non potrebbe essere altrimenti per un governo della rapidità come vorrebbe essere questo. È solo dannosa una gestione a fisarmonica. Ci vuole tempo per mettere a regime un ministero, sia per dividerlo che per accorparlo. E di tempo non ce n’è.

Subentrano Patrizio Bianchi all’Istruzione e Maria Cristina Messa all’Università. Sono due “tecnici”, entrambi ex rettori, nomi di peso fuori dai partiti, e questo già farebbe pensare a un’attenzione particolare di Draghi. E qualcosa cambierà, per due motivi. Il primo è per la sensibilità – più volte dichiarata – di Draghi su studio e formazione. Sensibilità convinta che appare confermata dalla scelta di affidare i due dicasteri a personalità di livello e “tecniche”, così come ha fatto per quasi tutti i ministeri strategici.

Il secondo motivo sono le risorse straordinarie che l’Unione europea ha deciso di affidare all’Italia. Occasione irripetibile per mettere in sicurezza (in tutti i sensi, come vedremo) il mondo della scuola. Mentre la gestione del ministro uscente, Lucia Azzolina, sembra non aver messo a fuoco le necessità concrete. La polemica sulla spesa di centinaia di milioni di euro per i famosi “banchi a rotelle” è certo stata usata anche strumentalmente, ma ha un senso: banchi ideati per avvicinare gli studenti nelle attività di laboratorio sono diventati – nella retorica politica – utili per l’effetto contrario, e cioè “allontanare”, permettendo il distanziamento sociale. E decine di migliaia di questi accessori sono stati consegnati ad anno scolastico non solo iniziato, ma già interrotto di nuovo nella didattica in presenza. Eppure la scuola ha vecchi problemi irrisolti.

La sicurezza degli edifici, prima di tutto, il 40% dei quali è su territorio sismico. Solo poco più della metà delle scuole ha il certificato di collaudo statico, introdotto per legge quasi mezzo secolo fa. Il 60% circa non ha il certificato anti-incendio. Una scuola su cinque non ha il piano di emergenza. La vetustà degli edifici è l’aspetto complementare del problema: oltre la metà è stata costruita prima degli anni Settanta. La dispersione scolastica (ovvero l’abbandono per lunghi periodi dei minori) nel Meridione supera il 20%, ed è un fenomeno che si è aggravato con l’emergenza sanitaria e la didattica a distanza.

La didattica a distanza è il capitolo più recente, ma altrettanto drammatico, dei ritardi della scuola italiana. L’inadeguatezza informatica degli insegnanti e l’assenza di tablet e computer nelle famiglie più disagiate sono stati i due fattori che hanno frenato l’efficacia della scuola in casa.

L’Italia lo scorso anno in Europa è stata la prima a chiudere le scuole e l’ultima a riaprirle. In tutto, su undici mesi, gli studenti delle classi superiori hanno studiato in presenza per soli quaranta giorni. In un contesto oggettivamente molto difficile le risposte dal mondo dell’Istruzione sono sembrate inadeguate: pianificazioni traballanti e indecise, liti e ricorsi tra governo e regioni, un piano di rientro in classe prima commissionato (a Patrizio Bianchi, ora diventato ministro) poi finito nel cassetto, cattedre non ancora assegnate ad anno scolastico iniziato. E poi sono state decise alcune misure di prevenzione che sembrano approvate in una riunione di condominio, come la misurazione della febbre degli studenti da effettuare in casa, affidando così alle famiglie un controllo di cui dovrebbe farsi carico l’amministrazione pubblica all’ingresso delle scuole. Non c’è stata una sinergia efficace con i trasporti pubblici, per garantire il rientro degli studenti in classe; la sensazione è che si facesse affidamento sul fatto che la pandemia si sarebbe estinta da sola. Tra le prime cose Draghi, ancora prima del giuramento da primo ministro, ha parlato di anno scolastico da prolungare per recuperare quanto è andato perduto con la didattica a distanza.

Un altro segnale di attenzione che fa sperare. Ma c’è un assetto complessivo da rimettere in ordine, senza tutte quelle chiacchiere che hanno avvelenato la scuola fino ad oggi. Gli insegnanti -molti dei quali inadeguati nella didattica a distanza – vanno aggiornati, ma anche retribuiti meglio: hanno perso in prestigio, hanno retribuzioni modeste, non si può sempre e solo fare affidamento sul loro sacrificio. Anche qui il confronto con l’Europa è deprimente. Ci vogliono finanziamenti, ora finalmente ci saranno (o potranno esserci) con il Recovery Fund.

Vale anche per l’Università, dove una delle necessità è anche frenare l’emorragia dei migliori ricercatori oltre confine. Investiamo per prepararli, ma poi finiscono con il lavorare all’estero.

Non ci saranno occasioni migliori di questa per tanti anni ancora.

Recommended For You

About the Author: RED

WP Twitter Auto Publish Powered By : XYZScripts.com

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi