Pescatori liberati in Libia, qual è stato il prezzo. La via umanitaria della Farnesina e il caso Forti

di Monica Frida

Anche nel declino della diplomazia italiana la pubblica umiliazione di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, capo del governo e ministro degli Esteri, che hanno accettato di incontrare Khalifa Haftar, il generale libico che controlla la Cirenaica, è un prezzo alto per la liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo (otto gli italiani) incarcerati a Bengasi. Perché appare a tutti – pur nella poca chiarezza di quanto sia avvenuto – che sia stato questo il prezzo richiesto – e certo esibito – da Haftar. Proprio lui, il generale sconfitto nel suo assedio a Tripoli (dove ha bombardato il governo legittimo della Libia), da cui stanno prendendo le distanze perfino gli alleati egiziani e russi. Un criminale finito in ombra e probabilmente alla ricerca di una legittimità internazionale. Però se i deboli italiani hanno la giustificazione della necessità di riportare a casa i propri concittadini, non tutti sono convinti che ad Haftar questo ricatto politico tornerà utile oltre alla visibilità di questi giorni.

La storia: i 18 pescatori sono stati arrestati perché avevano buttato le reti per la pesca in acque che la Libia considera – unilateralmente, perché si trovano oltre le 12 miglia nautiche delle leggi internazionali – come territoriali. Sono stati trattenuti come prigionieri 108 giorni, in condizioni che loro stessi – al ritorno a casa – hanno definito umilianti. Una lunga permanenza in carcere (anzi, diversi carceri, perché venivano spostati continuamente come di solito avviene ai sequestrati), nella quale sarebbero stati – stando alle loro testimonianze – maltrattati, lasciati sporchi e con poco cibo, anche picchiati. Dietro le quinte dell’annuncio di un processo che non c’è stato mai, si è svolta la trattativa tra i nostri servizi segreti e i rappresentanti della Cirenaica. I protagonisti della trattativa sono stati Giovanni Caravelli, direttore dell’Aise (il servizio di sicurezza esterno), e Saddam Haftar, il figlio del generale. Caravelli si sarebbe recato più volte, in questi due mesi, a Bengasi. Poi il blitz da Palazzo Chigi. Di Maio chiude con parole pragmatiche la disturbante vicenda: “Abbiamo ribadito ad Haftar che il governo italiano continua a sostenere con fermezza il processo di stabilizzazione in Libia”. Il che sarà certo vero. Ma non è stata questa la ragione del viaggio a Bengasi. E la versione libica è inevitabilmente quella che annuncia “scuse ufficiali” da parte di Palazzo Chigi.

Nel “processo di stabilizzazione” di cui ha parlato Di Maio certo Haftar spera di ritagliarsi uno spazio di potere, magari con un posto in un Consiglio di transizione prima della successione del premier Al Sarraj. Si vedrà. L’Italia ha dovuto inchinarsi, ma non c’era altra strada? Quando è stato sequestrato l’equipaggio di un cargo turco, accusato anch’esso di sconfinare non autorizzato nello stesso spazio di mare dove è avvenuta la cattura dei due pescherecci italiani, la situazione è stata risolta in breve tempo. Secondo il governo locale con il pagamento di una multa. Ma il presidente turco Erdogan aveva minacciato ritorsioni, e questo sembra stato l’argomento più convincente.

L’Italia ha bisogno di avere altrettanta autorevolezza, altrimenti è meglio che dia ordine a tutti i pescherecci di stare alla larga da quella parte di mare dove i libici (fu il dittatore Muammar Gheddafi il primo a stabilirlo) sostengono di poter disporre. Se non si ha la forza si subisce il male minore, che è quello di accettare l’illegittima pretesa della Libia di “governare” quella parte di mare. Infilarsi in una situazione del genere, umiliandosi per liberare dei pescatori che sono poi stati detenuti senza il rispetto di elementari diritti umani, non è la strada migliore per far ritrovare all’Italia il prestigio di Paese-guida del Mediterraneo, che per storia – e destino geografico, come Penisola protesa nel mare – le spetta.

L’Italia però con questa infelice decisione (che ha trovato in Patria anche consensi, con il forte argomento delle vite umane salvate, a caro prezzo ma salvate) non ha dilapidato quello che restava del suo patrimonio di credibilità in Libia. Si sostiene che un aiuto l’abbia avuto dagli ex Paesi amici di Haftar, ancora in contatto con lui. L’Egitto di Al Sisi e la Russia di Putin. Entrambi sarebbero intervenuti, stando a ricostruzioni diverse (più probabile la seconda ipotesi). Il che potrebbe essere inteso anche come un ulteriore successo di Haftar, che ha venduto la liberazione dei pescatori sequestrati al prezzo più alto e su più tavoli. Ma il generale non è così ingenuo da non credere di essere stato anche usato, e non può essere certo che sarà lui a presentare il conto.

In ogni caso Roma, dopo una sequenza di sconfitte e questa brutta figura può ancora sperare in un rilancio delle sue aspettative in Libia, perché è interesse di tutta l’Europa limitare l’invadenza di Erdogan, il presidente turco che in cambio del suo appoggio militare ha stretto ottimi rapporti con Tripoli e il governo legittimo del Paese. Non sarà facile però recuperare il terreno perduto, e bisognerà mettere in conto che Roma ha perduto quel primo rapporto preferenziale che aveva con la Libia,e. troppi attori non vogliono l’Italia sull’altra sponda del Mediterraneo.

Il nodo è che la liberazione dei pescatori arrestati (di fatto sequestrati) andava sciolto in altra maniera, mentre invece la Farnesina sembra aver sacrificato al risultato anche il tentativo di percorrere strade diverse. È una “via umanitaria” che però il ministro Di Maio segue con tenacia. Alla Farnesina va riconosciuta una politica che difende i diritti dei suoi cittadini all’estero, e questo è confermato dal riconoscimento dell’estradizione di un italiano in carcere negli Stati Uniti. Si chiama Enrico “Chico” Forti, è un imprenditore campione di windsurf, da oltre vent’anni in carcere in Florida per omicidio. Condannato all’ergastolo dopo un processo indiziario, si dichiara da sempre innocente. Ma anche il fratello della vittima crede alla sua innocenza e ha scritto una lettera al governatore della Florida invocandone la liberazione. Forti tornerà in Italia per scontare la pena nel nostro Paese. E questa volta non si parla di contropartite.

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