Mano nella mano davanti alla foiba dell’orrore

di Antonella Blanc

Mano nella mano. In deroga al “distanziamento” imposto dalle linee prudenziali per l’emergenza sanitaria. Ma è difficile non credere che non fosse un gesto necessario, il gesto fortemente simbolico che unisce i popoli d’Europa, e questa volta due popoli – quello sloveno, quello italiano – che la Storia ha diviso in modo lacerante (dove hanno pesato perfino i pregiudizi etnici) e che la Storia, il 13 luglio scorso, ha fatto ritrovare davanti ai luoghi che ricordano il martirio e la sofferenza. Il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e il Presidente della Repubblica slovena Borut Pahor si sono incontrati il 13 mattina nella caserma del Reggimento Piemonte Cavalleria a Villa Opicina, sul Carso triestino. Si erano già incontrati, prima di questa, 14 volte. Ma stavolta l’appuntamento ha un significato straordinario, perché in programma c’era qualcosa che non era mai avvenuto prima. Mattarella e Pahor si sono recati, in muto corteo, alla foiba di Basovizza, che era stato un pozzo minerario profondo duecento metri, in un altopiano non lontano da Trieste. Qui i partigiani jugoslavi massacrarono e gettarono nella fossa comune duemila (sul numero non c’è certezza) italiani, militari e civili.

Mai era successo che il Capo di Stato di uno dei Paesi nati dalla disgregazione della ex Jugoslavia commemorasse le vittime italiane delle foibe. Con un gesto certo già concordato, ma di toccante emozione, i due Presidenti si sono dati la mano. C’è stato un minuto di silenzio. Un silenzio che ha detto tante cose. “La storia non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano – ha detto Mattarella, rivolgendosi a Pahor, quando più tardi si sono recati alla Prefettura di Trieste – . Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro. Al di qua e al di là della frontiera – il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione Europea – sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace”.

Prima di questo discorso Mattarella ha firmato un memorandum per la restituzione formale della struttura di Narodni dom (“casa del popolo”) alla comunità slovena in Italia, esattamente cento anni dopo l’incendio del 13 luglio 1920 che la distrusse per mano di facinorosi fascisti. La visita è stata completata dalla deposizione di una corona di fiori al monumento dei caduti sloveni.

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