Crisi dell’agricoltura, se la sanatoria non basta

di Linda Lose

Si chiamava decreto aprile, è stato approvato dal governo il 13 maggio, e questo dice tutto sul ritardo rispetto alle intenzioni. Teresa Bellanova, ministro delle Politiche agricole, ha pianto pensando alla sanatoria sui migranti irregolari: “Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili. Da oggi vince lo Stato, perché è più forte della criminalità e del caporalato”. Davvero è così? Se la nuova “emersione” riuscisse a ridurre il fenomeno sarebbe già un successo. Fino allo scorso anno ci sono state oltre diecimila denunce per caporalato.

La sanatoria che riguarda tre tipi di lavoratori (badanti, colf, e braccianti) non ha però entusiasmato le associazioni di agricoltori. “Per regolarizzare gli stranieri serviranno mesi, a noi servono adesso per salvare i raccolti” si lamentano alla Coldiretti. Per Confagricoltura va bene la regolarizzazione ma non si sta facendo abbastanza, e si propone che agli alloggi degli stagionali ci pensi allo Stato. Le associazioni chiedono i voucher, per un pagamento più agevole; la riapertura di quelli che sono chiamati “corridoi verdi” e che permettono ai lavoratori specializzati dell’Europa dell’Est di venire a lavorare in Italia. Secondo le nuove regole, i datori di lavoro potranno regolarizzare un immigrato che intendono assumere, e i migranti già in Italia – che hanno già lavorato nelle mansioni previste – possono chiedere un permesso temporaneo di sei mesi per cercare un contratto. La sanatoria del governo non basta, ma era ora che si affrontasse il problema considerando che soprattutto l’agricoltura era rimasta fuori dalle regolarizzazioni del passato. Il sistema di “emersione del lavoro nero” ricalca quello che fu approvato undici anni fa dal governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi. In più, rispetto ad allora, c’è il permesso di soggiorno provvisorio di sei mesi per gli irregolari già in Italia. I voucher invece sarebbero utili per le piccole aziende che hanno bisogno di braccianti magari solo per due settimane. Ma un equivoco, su quale le associazioni insistono, è che i braccianti che servono sono spesso lavoratori specializzati: potare l’uva, ad esempio, non è un incarico che si improvvisa. In questo senso non basta neanche allargare il perimetro delle assunzioni a tempo, permettendo di lavorare nei campi a chi ha il reddito di cittadinanza oppure usufruisce di ammortizzatori sociali.

Un passo avanti, ma quello che manca è una visione complessiva delle necessità dell’agricoltura italiana. Servono braccianti per la raccolta della frutta, ma per le attività meccanizzate non sono utilizzabili gli ex-irregolari se non hanno una formazione minima. Insalate, ravanelli, legumi, asparagi hanno avuto problemi di raccolta a marzo e a aprile; in questi mesi sono a rischio zucchine, peperoni, melanzane tra le verdure; ciliege, prugne, albicocche tra i frutti. Mentre meno problematica sarà la raccolta di pomodoro e grano, perché è per lo più meccanizzata. Ma l’agricoltura non ha sofferto solo la pandemia: le gelate di marzo e i disastri provocati dalla cimice asiatica, la raccolta è stata compromessa anche da questi fattori indipendenti dal coronavirus. Al punto che in Emilia Romagna, che da sola produce un terzo di tutta la frutta in Italia, si è arrivati a chiedere la cassa integrazione per i lavoratori (non i braccianti, ma tecnici e magazzinieri). Ci sono aumenti generalizzati: per le difficoltà di raccolta e sprechi. E questo si ripercuote sui prezzi, che sulla fretta sono rincarati sostanzialmente. Le fragole da massimo 6 lo scorso anno, hanno toccato gli 11 euro al chilo. I 69 euro per un chilo di ciliegie spagnole, in vendita a un negozio di frutta e verdura a Milano hanno fatto scalpore. Nel solo mese di marzo si calcola la perdita di 500mila giornate di lavoro (il confronto è con l’anno precedente).

È un problema di produzione, naturalmente non di mercato anche se alberghi e ristoranti chiusi hanno una ripercussione anche in questo settore. Nel mese di marzo, in emergenza sanitaria, le vendite di prodotti certificati come biologici sono aumentate in Italia del 19%. Nei giorni della ripartenza produttiva la parola d’ordine è sostenibilità. La Commissione europea su ambiente e settore agroalimentare ha in programma come obbiettivo per il 2030: riduzione al 50% dei fitofarmaci e dei consumi di antibiotici negli allevamenti (compresi quelli in acqua di pesci): incremento di un quarto delle superficie complessive coltivate a biologico: riduzione del 20% dei fertilizzanti. Un programma che l’emergenza non dovrebbe modificare.

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