Giù la maschera. Conte alla prova della realtà

di Fabio Morabito

Da tempo la comunicazione del primo ministro Giuseppe Conte è diventata imbarazzante. Dalle dirette sulle piattaforme social (proprietà di multinazionali) a una continua sovra-esposizione. Il sobrio primo ministro che un anno fa non parlava con i giornali, facendo capire che aveva tempo solo per il lavoro, ora si fa intervistare più spesso di un virologo.

L’avvocato e professore che due anni fa rimise il mandato da Premier nella mani del Presidente Sergio Mattarella – dopo la “bocciatura” della proposta di nomina di Paolo Savona come ministro dell’Economia – dava lezione a tutti di rispetto istituzionale. Quando Lega e Cinque Stelle, allora forze alleate di governo, accusavano Mattarella, lui – che come Primo ministro incaricato era l’unico titolato a protestare in quella circostanza – ringraziava pubblicamente il Quirinale. Pronto a uscire con eleganza di scena. In quella circostanza il professor Conte si comportò senza suggeritori. Poi i Cinque Stelle gli hanno affiancato come portavoce Rocco Casalino, che un talento della comunicazione ce l’ha, ma ora sembra scontare troppo la sua “formazione” di ex-concorrente del “Grande fratello”, un programma gioco della tv dove i partecipanti si chiudono dentro una casa e convivono con degli sconosciuti. Qualcosa che deve somigliare al vero ma vero non è. L’apoteosi del superfluo, la fenomenologia dell’inutile. Parlare tanto per apparire.

Con la convinzione che il consenso sia quanto di più superficiale possibile. La dipendenza dall’esposizione ha definitivamente tradito Conte in questi giorni. In cuor suo vorrebbe dare probabilmente l’immagine del politico che lavora, l’uomo concreto, moderato e civile, “l’avvocato degli italiani” come si era auto-definito. Ma con la passerella che ha scelto di fare con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio per accogliere Silvia Romano, la cooperante lombarda che dopo 18 mesi di sequestro in Africa è tornata libera ed è rientrata all’aeroporto di Ciampino, ha dato solo l’impressione di voler partecipare a un gioco tv. Non perché prima di lui altri politici italiani abbiano saputo astenersi in circostanze simili dal trionfo dell’apparenza. Viene in mente la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena in Iraq, il cui annuncio era programmato durante il festival di Sanremo. Ma mai come questa volta sarebbe stato meglio tenere un profilo basso. Così come si fa in altri Paesi, che come l’Italia si piegano ai sequestratori ma negano di farlo. Con la consapevolezza che più i riflettori sono spenti sull’ipocrisia di queste vicende, meno si compromette l’etica e l’immagine dello Stato.

Un profilo basso era necessario anche perché un dramma lo sta vivendo tutta l’Italia, e ci si aspetta che il governo si dedichi solo a far attraversare il Paese la sua peggior crisi economica dal dopoguerra, senza raccogliere facili applausi. Sarebbe bastato in questa occasione un sobrio messaggio di saluto alla ragazza salvata e alla sua famiglia, e un ringraziamento ai servizi segreti che hanno gestito l’operazione. Senza suonare le trombe del rientro della cooperante, che – proprio da quel governo che si compiace della sua salvezza – è stata obbligata a una sovra- esposizione capace di scatenarle contro un linciaggio nei social. E non solo nei social, che sono diventati il bidone della spazzatura degli sfoghi peggiori del Paese. Un deputato leghista, Alessandro Pagano, ha definito la ragazza “neoterrorista”, e lo ha fatto durante un intervento in Parlamento. I terroristi sono i rapinatori, fanno parte di un gruppo feroce, gli Al Shabaab (in lingua somala significa “i giovani”), che ha giurato fedeltà ad Al Qaeda ed è colpevole di decine di attentati con i quali sono stati uccisi nel tempo oltre quattromila civili, tra cui centinaia di donne e bambini. Silvia Romano è invece la sequestrata, la vittima, un’innocente.

Una giovane di 25 anni di cui si sta parlando moltissimo, soprattutto per la sua conversione alla fede musulmana, conversione che ha aperto un dibattito sulle condizioni in cui questa sua scelta sarebbe maturata. Per liberarla si è fatto quello che si è sempre fatto, anche se finora si è sempre negato: si apre una trattativa con i sequestratori, che sono dei terroristi, e poi si paga il riscatto. Quei soldi verranno usati per finanziare attentati? Si sa che è così. C’è un’altra strada? Sì, la principale è quella dell’operazione militare, ma dove la salvezza dell’ostaggio diventa solo una possibilità. Poi ci sono operazioni più sofisticate, dove il riscatto comporta dei finanziamenti mirati ad obiettivi pacifici. Ma se si sceglie- o si è costretti a scegliere – il compromesso più brutale, benché questo sia una prassi seguita anche da chi ora grida allo scandalo, bisognerebbe evitare il palcoscenico, gli squilli di retorica in ogni messaggio “social”, la vanagloria di meriti inesistenti. Intanto si salva una vita. Ma non c’è da vantarsi: una ragazza viene sequestrata per ottenere dei soldi, e si pagano quei soldi. Dov’è il merito della politica? Semmai c’è il merito di chi ha trattato sul campo, correndo dei rischi.

Si paghi pure, e lo si faccia senza riflettori, diretta tv quasi a rete unificate dall’aeroporto di Ciampino, risparmiando alla vittima liberata, che pure pubblicamente esprime con spontaneità la sua gioia, una pressione mediatica che farà rumore anche sul suo equilibrio. Poi ci sono gli effetti collaterali di questa esposizione che nessun sondaggio di politica nazionale intercetterà, ma che sono un altro obbiettivo dei terroristi. La propaganda, una qualche legittimazione delle loro ragioni. Proprio per evitare queste speculazioni, altri grandi Paesi in Europa, e gli Stati Uniti, si sono dati un protocollo che si può definire “no-video”.

I sequestrati rientrano nel silenzio, non si riprendono neanche i funerali dei militari caduti in guerra contro i terroristi. Cosa c’è dietro la maschera, o dietro la mascherina anticontagio?

Riempire il silenzio con il rumore è il contrario del carisma politico e Conte sa che la sua popolarità, ora accarezzata dai sondaggi, dovrà affrontare l’unico test che conta, quello della “ripartenza” del Paese. L’Italia ha di fronte una recessione drammatica e, secondo le stime degli analisti, nell’Unione andrà proporzionalmente peggio solo alla Grecia. Ci vogliono risposte rapide ed efficienti, ci vuole la capacità di disinnescare i ritardi della burocrazia, l’intelligenza di coordinarsi con Bruxelles mantenendo autonomia nella difesa degli interessi nazionali. Ci vuole la capacità di reagire a un’emergenza sociale che rischia di essere esplosiva. Il resto è solo cipria.

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