Paesi Bassi, il paradiso fiscale può attendere

di Roberto Mostarda

È difficile nel momento più complesso ed intricato della battaglia contro la pandemia, mentre sia il virus sia le misure per contrastarlo condizionano la nostra vita e comprimono i nostri diritti, spostare lo sguardo appena dopo la linea del fronte.

Eppure, tra le possibilità e le attività che dobbiamo porre in essere vi è quella di osservare oltre l’ostacolo sia per prepararci sia per trovare conforto alla sofferenza che ci attanaglia, in ossequio a quella umana virtù che è la speranza e che insieme a Rossella O’ Hara in Via col Vento, ci fa dire “domani è un altro giorno …!”.

Tra le cose delle quali dobbiamo occuparci come cittadini, come portatori di diritti e come interpreti consapevoli della stagione che ci troviamo a vivere, vi è certamente quella di comprendere e di essere messi nelle condizioni di farlo, nei confronti dei grandi movimenti che si svolgono a livelli di governi e nello scenario internazionale. La nostra quotidianità, nel cuore e nella mente, ci mette dinanzi a interrogativi non secondari sul nostro stesso futuro, quali singoli e quali collettività nazionale e più in generale mondiale. Al di là di quello che la congiuntura post virus ci porrà dinanzi a livello mondiale, è certamente nel nostro cortile di casa, italiano ed europeo, che dobbiamo guardare.

Mark Rutte
Mark Rutte

E qui, ci imbattiamo in una sigla e in un confronto aspro e senza quartiere su di essa. Parliamo del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, un ircocervo immaginato nel 2012, in un altro mondo e nei confronti di altre situazioni di crisi e del suo ipotizzato utilizzo per il dopo pandemia e soprattutto nell’immediato per dare respiro alle economie nazionali in affanno, insieme ad altri strumenti finanziari imponenti destinati alla ripresa delle economie continentali. Astraendoci per un attimo dalla sua essenza – e ricordando solo incidentalmente la vicenda della Grecia e del suo default – assistiamo ad una battaglia campale tra i paesi del nord Europa, Olanda e Germania in testa, e quelli mediterranei con la Francia e l’Italia in prima linea. I primi repellenti ad ogni discorso di debito europeo e di condivisione delle crisi, i secondi necessitati a trovare il modo per alleviare il peso di esso debito su economie più critiche ancorché vivaci come quella italiana e alla ricerca di quella condivisione che dovrebbe essere nel dna dell’Unione Europea e dei suoi principi fondanti.

La domanda è allora perché Amsterdam (e anche Berlino o meglio quella Germania settentrionale da sempre attirata dalle logiche di quella che fu la storica Lega Anseatica tra Mare del Nord e Mar Baltico) appare spietata nei confronti dell’Italia e di chi come essa pone interrogativi comuni per risposte comuni?

Anche qui astraiamoci dal nonsense che caratterizza il nostro dibattito nazionale nel quale si parla di Mes, contro o a favore senza tuttavia spiegare agli italiani di cosa realmente si parli, ma accondiscendendo al solito deteriore qualunquismo su chi ci vuole togliere o meno la sovranità (in soldoni un parallelo può essere quello di contrarre un mutuo e poi non volerlo onorare sino all’ultimo! E da parte di chi lo eroga non rendersi conto delle difficoltà oggettive o sopravvenute). Il nocciolo, è di una brutale semplicità. Una nazione come i Paesi Bassi, sesta economia continentale soprattutto in termini finanziari, non vuole mutualizzare le difficoltà altrui per un altrettanto banale motivo: il regime fiscale attuato dal governo de l’Aja consente e facilita le imprese di ogni nazione europea e attrae per ciò stesso molte di essere a trasferirsi fiscalmente in quel paese.

In un certo senso, nel seno stesso dell’Unione Europea esiste una sorta di “paradiso fiscale” attrattivo che mina l’essenza stessa dell’Unione economica e monetaria, garantendo però regimi di favore a imprese e multinazionali in cerca di approdi e intente a lasciare paesi più pesanti dal punto di vista dell’imposizione fiscale. Sappiamo che la Fca ha preso la sede legale nei Paesi Bassi e che è in corso la stessa trafila da parte di Mediaset. Due esempi eclatanti, non i soli, di quello che può accadere: la esternalizzazione del nostro capitale e del nostro know how, oltre alle minori entrate fiscali conseguenti. Nel mondo globalizzato nulla di incomprensibile: i capitali cercano approdi fruttiferi e di scarso impatto fiscale, facendo il loro mestiere.

Tuttavia in questo caso è come se in una famiglia che cerca di risparmiare, vi sia qualcuno che continua a sottrarre risorse e a metterle sotto il materasso! Materasso che non è quello della casa al mare, ovvero nei paradisi fiscali notori, ma quello del vicino di casa che, quando abbiamo bisogno non si fa trovare! Che fare allora? Poiché l’imposizione fiscale non sembra ancora rientrare tra gli obblighi comunitari e ogni paese applica il regime di miglior favore per se stesso, nulla potrebbe impedire di contrapporre alti tassi all’importazione dei beni prodotti da quelle aziende che hanno preferito sedi fiscali convenienti ma fuori del proprio paese, allo scopo di sfuggire alla morsa delle tasse. Naturalmente si tratta forse di una provocazione, di un divertimento mentale. Al quale tutti guarderanno con sufficienza. Senza dimenticare tuttavia che “scherzando … scherzando … Pulcinella diceva la verità!”

 

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