Apicoltura, la Ue affronta la crisi del miele

di Giorgio De Rossi

La Direttiva CEE n. 409/1974 relativa all’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri sul nettare delle api ha stabilito che “per miele si intende il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare”. Purtroppo oggi molti fattori stanno mettendo a serio rischio i prodotti del laborioso e prezioso animaletto: dai cambiamenti climatici ai pesticidi, dalle differenti malattie alla degenerazione degli habitat naturali, fino alla contraffazione ed alla concorrenza sleale nella produzione del miele.

Una delle maggiori spie degli effetti negativi dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale è offerta dal calo della produzione del miele. Infatti dal nettare, composto principalmente di acqua e zucchero, a causa della siccità e di un caldo eccessivo, comincia ad evaporare l’acqua. Questo si traduce in una maggiore concentrazione di sostanze zuccherine che, a prima vista, potrebbe apparire un elemento positivo, ma che in realtà per le nostre infaticabili operaie rappresenta un grosso problema, dal momento che l’alta concentrazione di zuccheri (che sale fino al 70/80%) influisce sulla densità del miele. Poiché le api raccolgono il loro nettare con un apparato boccale provvisto di una lunga e stretta cannula, un forte aumento della materia zuccherina produce un parallelo aumento della viscosità ed una maggiore difficoltà nel succhiare il miele: ovviamente più tempo impiegano e meno nettare raccolgono! Anche l’eccessivo uso dei prodotti fitosanitari e dei pesticidi ha provocato degli effetti inaccettabili sulle larve e sul comportamento delle api, nonché sulla sopravvivenza e sullo sviluppo delle colonie, causando una drammatica diminuzione delle api domestiche e selvatiche. Tra le altre maggiori criticità che minacciano seriamente la capacità produttiva delle api mellifere, sottolineiamo, sia le malattie dovute allo stress, che il coleottero degli alveari, la vespa asiatica e la peste americana. Altro fattore negativo per il settore apistico è quello che deriva dalle importazioni di miele contraffatto dalla Cina, che danneggia gli apicoltori europei abbassando artificialmente i prezzi. La Cina rappresenta Il maggior esportatore mondiale occupando ben il 29% del mercato totale con le sue esportazioni. Purtroppo, a differenza del miele europeo, quello cinese è prodotto anche con gli OGM, vietati per la produzione di miele nostrano. Il miele è il terzo prodotto più contraffatto al mondo e, secondo le analisi dell’Ue, il 20% dei campioni rilevati nei controlli non rispetta gli standard europei sulla composizione. Dopo la Cina l’Unione Europea è il secondo produttore di miele al mondo.

Ogni anno oltre 650.000 apicoltori europei producono un quantitativo di circa 280.000 tonnellate di miele che risulta autosufficiente per il 60%, mentre il restante 40% richiesto dai consumatori viene importato dall’estero. Secondo un report straordinario dell’Osservatorio Nazionale Miele, il mix tra gli effetti del cambiamento climatico e dell’inquinamento Fonte: Elaborazione su dati della Commissione Europea ambientale dovuto a pratiche agricole scorrette, le patologie delle api e gli aggressori dell’alveare, hanno determinato ancora una volta in Italia il crollo della produzione di miele ed anche per il 2020 le previsioni non sono buone. Tuttavia, dal Congresso AAPI (Associazione Apicoltori Professionisti Italiani), che si è tenuto a Grosseto dal 29 gennaio al 2 febbraio scorso, nonostante i segnali della crisi produttiva e ambientale di un settore altamente specialistico, è emerso un quadro numerico confortante dell’Apicoltura Professionale Nazionale. Il numero degli apicoltori italiani è di 60.000 unità e gli alveari censiti sono 1.500.000 (a fronte dei circa 17.500.000 alveari nell’UE), di cui il 50% stanziali ed il 50% nomadi. La produzione nazionale vale € 150 milioni e, dal punto di vista qualitativo, l’Italia detiene il record con oltre 50 varietà di miele. Il 66% degli apicoltori sono produttori in autoconsumo e detengono circa il 24% degli alveari, mentre i restanti producono a fini commerciali. Solo 1.800 unità apiarie (il 3% del totale) possiedono 150 o più alveari, ma detengono circa il 50% del totale degli alveari censiti (750.000). Numeri ai quali si deve aggiungere il prezioso servizio di impollinazione che le api forniscono alle colture agricole, con un valore stimato di € 2 miliardi.

Anche dall’Unione europea emergono crescenti istanze volte ad offrire una maggiore tutela ad un settore con sempre maggiori riflessi economici, oltreché ambientali. Infatti, proprio le maggiori Organizzazioni Cooperative ed Agricole dell’UE (Copa – Cogeca) hanno avanzato un Piano di azione d’emergenza “per consentire agli apicoltori europei di rialzare la testa dopo un 2019 in cui hanno dovuto battersi contro una situazione di mercato critica”. A rischio c’è la sostenibilità economica delle loro aziende e il grado di autosufficienza del prodotto nel mercato interno. In realtà, spiegano gli esperti, “dal 2013, i produttori europei hanno dovuto far fronte a importazioni in continua crescita, soprattutto dalla Cina, a prezzi bassi (in media € 1,24/kg nel 2019), ai quali i nostri produttori non possono allinearsi. Nel 2018 i costi medi di produzione nell’UE erano di € 3,90/kg. Questa differenza di prezzo – sottolineano – può essere spiegata solo dall’aggiunta di grandi quantità di sciroppo di zucchero, più economico alla produzione e difficile da rilevare con i controlli effettuati alle frontiere, nonché dal metodo di produzione del miele in Cina non conforme alle norme Ue”. Inoltre, sostengono le Organizzazioni Copa e Cogeca, esiste “una minaccia che va ben oltre le sfide della nostra filiera considerando il servizio di impollinazione reso dall’apicoltura” per l’agricoltura, l’orticoltura e per la biodiversità in Europa. Il problema dunque non è solo legato alla congiuntura economica.

E’ opportuno a questo punto ricordare che dal 1° dicembre 2009 – con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona – il Parlamento Europeo (PE) condivide il ruolo di co-legislatore con il Consiglio anche in materia agricola. I principali atti comunitari del settore agro alimentare, per poter entrare in vigore, devono essere approvati congiuntamente da PE e Consiglio che agiscono, quasi in una sorta di bicameralismo, in rappresentanza, rispettivamente, dei cittadini europei e degli Stati membri. Pertanto, lo scorso 23 gennaio, la Commissione Agricoltura (COMAGRI) del Parlamento Europeo ha approvato un Rapporto che chiede centralità per l’apicoltura con l’inclusione dei programmi apistici nei piani strategici della Politica Agricola Comune (PAC): promuovere il consumo di miele nelle scuole europee, limitare la diffusione del miele falso cinese, aumentare i contributi agli apicoltori e contrastare la diffusione dei parassiti. Per dare seguito, sia alle legittime istanze delle organizzazioni cooperativistiche, che al citato Rapporto presentato dalla Commissione Agricoltura, anche il Consiglio “Agricoltura e Pesca”, che riunisce i Ministri competenti di tutti gli Stati membri dell’UE, lo scorso 27 gennaio, ha chiesto, a maggioranza, che l’Europa introduca l’etichettatura del Paese di origine sulle miscele di miele. In aggiunta, il Consiglio ha ottenuto la garanzia che tutti i mieli importati dai Paesi terzi siano conformi alla definizione europea di miele, soprattutto quelli di origine cinese. Tuttavia il Rapporto presentato e approvato dalla Commissione Agricoltura lo scorso 23 gennaio non è una risoluzione legislativa e di conseguenza non è vincolante. Il testo verrà esaminato dal Parlamento durante la sessione plenaria di marzo a Bruxelles e, una volta approvato dagli europarlamentari, sarà inviato alla Commissione e al Consiglio.

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