Il bisConte dimezzato

di Fabio Morabito

“Un piccolo miracolo” ha definito il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri la legge di Bilancio quando, il 16 dicembre scorso, ha ampiamente passato il voto al Senato.

Fatta – ha spiegato il ministro – con un governo nato tra tante difficoltà e che ha avuto così poco tempo Ma il “miracolo” per Gualtieri è probabilmente anche nel voto, che è stato ampio e senza defezioni, e che ha approvato alla fine la legge di Bilancio nonostante le lacerazioni nel governo, le continue polemiche, l’evocare costante di elezioni anticipate.

Per il governo Giuseppe Conte 2 il destino sembra quello del Giuseppe Conte 1, costretto in una tempesta permanente. Un ruolo dimezzato, dove non si può programmare il futuro con serenità, ma ci si deve sempre sentire in bilico tra una normale azione di governo e una crisi continuamente minacciata.

Con l’anno nuovo riprenderà l’agenda delle elezioni regionali, una campagna elettorale perpetua che logorerebbe qualsiasi esecutivo che non fosse “blindato”, come lo può essere una formazione nata da una chiara vittoria elettorale di coalizione. Perché la frammentazione del voto, dovuta alla frequente chiusura anticipata delle legislature regionali, non permette un unico appuntamento elettorale in tutto il Paese per le Amministrative. Cosa che eviterebbe il clima di campagna elettorale permanente, che certo non ha fatto bene all’azione di governo neanche nel Conte 1, dove i capi politici dei due gruppi di coalizione (allora Lega e Cinque stelle) erano anche vicepremier. L’altro nodo, sempre presente e sempre stretto, è il peso del debito pubblico. Ci costa sessanta miliardi di euro di soli interessi ogni anno, soldi persi non per investire, per alleggerire la pressione fiscale, per rilanciare il settore scuola e università, che sono in eterna sofferenza.

Soldi persi e basta. E che mette sotto pressione presso Bruxelles anche questo governo, nonostante sia molto più benvoluto del precedente, perché al posto della Lega c’è il Partito democratico, e quindi il connotato è decisamente più euroamichevole. Ma la Commissione Ue, anche se stavolta è stato tutto più semplice, le sue raccomandazioni all’Italia (va detto, anche ad altri Paesi per ragioni diverse) si è sentita di farle. Chiedendo di impegnarsi per ridurre il debito pubblico. Un’altra reprimenda è sul lavoro, per il mercato troppo debole e le fasce di occupati che hanno salari troppo bassi. Naturalmente il “monitoraggio dell’Italia per gli squilibri macroeconomici” non è una novità di quest’anno e neanche dal precedente. È il settimo anno consecutivo che siamo all’angolo.

Il problema è che l’Italia è in affanno per trovare risorse che servono solo a inseguire le clausole di salvaguardia dell’Iva (il prossimo anno ci saranno altri venti miliardi da recuperare) e tutto il suo impegno sembra volto a convincere Bruxelles a concedere il più ampio margine possibile di tolleranza sul deficit. Il Conte 2 si è trovato così nella situazione identica al Conte 1, dove la legge di Bilancio è stata presentata in extremis, sotto le feste, con vagonate di emendamenti degli stessi parlamentari di maggioranza, ma nessuna discussione possibile in aula.

Quello che era successo l’anno scorso, ed era stato criticato dal Pd, si è ripetuto quest’anno con il Pd al governo. Il dibattito si è consumato tra i leader di partito sulle pagine dei giornali e nelle trasmissioni para-politiche in tv. Plastic tax e auto aziendali hanno monopolizzato parte del dibattito anche se erano misure marginali rispetto a un movimento di trenta miliardi, il valore complessivo della manovra. Che ha dovuto scontare, peraltro, la necessità di pagar pegno a misure di propaganda politica, come il cuneo fiscale alleggerito per i redditi più bassi. Una misura lodevole, ma con un difetto di prospettiva: l’Italia ha bisogno di misure che programmino con ampio respiro, di misure che rilancino il lavoro. Ha bisogno di realizzare opere pubbliche in tutela soprattutto dell’ambiente, di dare fondi alla scuola, di riconvertire l’industria in senso “verde”, di mettersi al passo con l’Europa.

Naturalmente, anche la debolezza dell’Italia durante la trattativa della riforma del Fondo salva-Stati, va inserita in questo contesto: andiamo a Bruxelles sempre con il complesso dei pierini che devono farsi perdonare il deficit, e per ottenere benevolenza rinunciamo ad un’azione autorevole nel resto che ci riguarda e che riguarda l’Europa. Eppure, in questo quadro instabile, con l’Europa che ci ha concesso le briciole negli incarichi che contano (e questo vale anche per i ruoli “tecnici”, non solo per quelli più visibili), l’Italia del Conte 2 potrebbe recuperare un ruolo di leadership a Bruxelles se riuscisse a vincere la difficile partita nella trattativa con e per la Libia. La missione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio è forse la svolta, perché segnala la consapevolezza della necessità di essere protagonisti nel Mediterraneo. Si tratta per noi di una vocazione geografica e storica, che assolverebbe a una funzione cruciale anche per tutta la diplomazia europea. E che ci darebbe autorevolezza perché i Paesi ora impegnati in Libia sono Russia e Turchia, i più attivi in politica estera e non solo in quest’area.

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