Allevamenti intensivi, perché serve una legge europea

di Carlotta Speranza

“Se i macelli fossero di vetro tutte le persone diventerebbero vegane” dice Michela Brambilla, già ministro del Turismo nel quarto governo Berlusconi, ora deputata con Forza Italia. Da tempo impegnata per la tutela dei diritti degli animali, la parlamentare il 4 dicembre scorso si è presentata a Montecitorio con un maiale al guinzaglio. Lei elegantissima in completo nero giacca e pantaloni, “lui” di un pallido rosa pulitissimo. La guardia all’ingresso non si scompone, e dice rivolto proprio al maiale: “No, tu qui non puoi entrare…”. E Dior (il maiale si chiama così) viene ricondotto in strada tra la curiosità e il divertimento dei passanti.

Michela Brambilla riesce così nel suo intento, di parlare del problema che le sta a cuore: cambiare le condizioni di vita negli allevamenti intensivi, dove gli animali da carne sono costretti a condizioni di grande sofferenza e violenza, in gabbie dove non possono muoversi. La deputata di Forza Italia ha presentato due proposte di legge con le quali, tra l’altro, vuole introdurre l’obbligo di videosorveglianza negli allevamenti intensivi, prpprio per “smascherare” le torture. Ma per un cambio di passo servirebbe una legge europea. C’è una sinergia tra leggi nazionali ed europee riguardo il benessere animale. La maggior parte delle nuove leggi su questo principio di civiltà negli ultimi 40 anni sono state introdotte a livello dell’Unione europea. Le leggi dei singoli Paesi “trascinano” l’Unione europea, anche se i tempi sono sempre lunghi. Ad esempio, le gabbie da gestazione per le scrofe furono abolite in Gran Bretagna vent’anni fa, e sei anni fa anche nel resto d’Europa.

Sulla tutela del benessere animale, anche se molta strada c’è da fare, un passo avanti sono i Paesi del Nord Europa mentre in Italia c’è attenzione per gli animali da compagnia, a si è ancora molto indietro sui diritti degli animali in assoluto.

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