Se l’Europa volesse lasciare la Nato

di Fabio Morabito

“Attorno alla Nato c’è un clima favorevole, fatta eccezione per un Paese”. Lo ha detto il presidente statunitense Donald Trump presentandosi a Londra, il 3 dicembre scorso, all’avvio del vertice che celebrava i settant’anni dell’Alleanza Atlantica. Ma chi è il Paese – non nominato – che fa “eccezione”? Naturalmente Trump si riferiva alla Francia.

È il presidente francese Emmanuel Macron, infatti, che in una dichiarazione di qualche settimana fa aveva parlato di “morte cerebrale” della Nato. Ne ha parlato in un’intervista all’Economist, in lingua inglese, e Trump – aduso ai tweet – ha potuto leggerla così com’era stampata. Macron si riferiva a quanto è successo in Siria, con la Turchia (alleato Nato) che bombarda i curdi, subito dopo che Washington (alleato Nato) aveva ritirato il contingente militare al  confine. Senza che né Washington né Ankara consultassero gli altri 27 Stati che dell’Alleanza atlantica fanno parte.

“Penso che sia un insulto, una mancanza di rispetto, un’affermazione molto cattiva rivolta agli altri Paesi che fanno parte della Nato” ha poi commentato Trump, stavolta riferendosi esplicitamente alla dichiarazione di Macron, che mostra energia in politica estera ma ha molti problemi in politica interna (il 5 dicembre, sciopero generale, ottocentomila francesi sono scesi in piazza contro la riforma delle pensioni, con lancio di pietre dei black bloc alla polizia e decine di arresti). Eppure Macron, da solo, ha detto una verità. Perché il ritiro delle truppe statunitensi, al di là delle successive dichiarazioni ostili di Trump verso Ankara, è sembrata una mossa concordata con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

Il sospetto resta, nonostante le dichiarazioni successive di Trump, che il 18 ottobre minaccia il riconoscimento del genocidio armeno (lo sterminio, 104 anni fa, di un milione e mezzo di cristiani pianificato dall’Impero ottomano) sempre negato dalla Turchia e nervo scoperto per Erdogan. Pochi giorni dopo il via libera della Casa Bianca, il Congresso il 30 ottobre approva una risoluzione che riconosce il genocidio armeno. Erdogan s’infuria, e la Casa Bianca successivamente blocca – con dei senatori compiacenti – la mozione, che non era vincolante. In questa giravolta c’è tutta la politica di Trump, che nel frattempo ha accolto Erdogan a metà novembre alla Casa Bianca come un grande amico con cui si fanno buoni affari. Di fronte al rapporto privilegiato di Trump con la Turchia, secondo esercito della Nato dopo quello degli Stati Uniti che però si arma anche facendo affari con Mosca (dalla quale ha comprato il sistema anti-missili), appare evidente l’inadeguatezza della politica estera europea. L’Unione poteva compattarsi e invece non ha neanche provato a farlo.

Macron è stato lasciato solo, l’Italia appare debolissima in politica estera, il primo ministro britannico Boris Johnson, “padrone di casa” nel vertice di Londra, si vuole distinguere in senso contrario alla Francia, parlando di “atmosfera di grande solidarietà e determinazione a spingere la Nato”. E del resto la Gran Bretagna è in uscita. Trump poi lascia il vertice irritato, dopo la diffusione di un video con immagini “rubate” durante il ricevimento a Buckingham Palace, dove il premier canadese Justin Trudeau sembra deriderlo (“ha fatto cascare la mascella al suo staff”) con altri leader.

Sembra, perché l’audio non è del tutto comprensibile; ma Trudeau ha una ruggine con Trump, che in passato lo insultò pubblicamente. Il video e la polemica che ne segue è una nota di colore che descrive un clima che sembra più influenzato dai linguaggi dei social che dalla prudenza paludata di vecchia scuola. Lascia perplessi come i leader europei, che pure avevano formalmente condannato l’offensiva turca contro i curdi, non siano stati capaci di mettere in difficoltà Erdogan. Questi ha addirittura provato a rilanciare chiedendo – ovviamente invano – che le milizie peshmerga  valutazione diplomatica, che è stata la volontà di Macron di non andare fino in fondo, affrontando a muso duro la questione nell’incontro ufficiale tra i tutti e 29 alleati. Sarebbero implose tutte le contraddizioni della Nato.

L’incontro a quattro è stata una strategia discutibile, che invece Macron ha rivendicato (“un esperimento da ripetere” ha commentato) il che fa pensare a come lui veda la gestione degli organismi sovranazionali (la Nato, ma anche l’Unione europea) governati da “commissioni ristrette”. Ristrette, ma in cui la Francia c’è sempre. E infatti, dopo qualche giorno a Parigi, c’è stato un altro vertice a 4, per il lodevole intento di fermare il conflitto tra Russia e Ucrania nel Donbass (la regione ucraina di confine), che in sei anni ha provocato 14mila morti. Protagonisti il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello russo Vladimir Putin (è la prima volta che si sono incontrati).

Quali siano i reali interessi di Ucraina e Russia lo suggeriscono gli accompagnatori che i due presidenti si sono scelti: i rispettivi ministri dell’Energia e manager del gas. Con Macron, a completare il quartetto dei leader, c’era ovviamente Angela Merkel. L’incontro non è bastato a sbloccare la situazione, ma ha confermato qual è per l’Eliseo il vero “format” europeo di politica estera. Angela Merkel è accanto a Macron quando si tratta di rivestire il ruolo di pacificatore dei conflitti mondiali, ma prende le distanze quando c’è uno strappo, come la ormai famosa dichiarazione sulla “morte cerebrale” dell’Alleanza atlantica. La Cancelliera, che pure aveva immaginato il percorso verso un esercito europeo, non vedendo progressi, e forse avendo dei dubbi sulla capacità di Macron di essere concreto, si è riposizionata sulla indispensabilità della Nato. Che non sbiadisce un progetto di Difesa europeo, ma perlomeno lo modifica. La strada alternativa potrebbe essere infatti quella di un’alleanza europea da realizzare intanto all’interno della Nato. Qualcuno l’ha già suggerita, ma è un percorso lento e lontano anche per l’attuale incapacità ad essere incisiva della politica estera europea. E poi c’è il problema dei Paesi dell’Europa orientale, che hanno ottenuto da questo vertice di Londra un maggior controllo militare dei confini baltici con la Russia. Non sembra che sarebbero disposti a rinunciare all’appoggio della superpotenza Stati Uniti, che ad alcuni Paesi dell’Est piace più dell’Europa di cui fanno parte. Anche se, nella stessa Nato, c’è la Turchia – che sta curando un suo complicato asse con Mosca – che ha provato a frenare sulla difesa dei confini baltici.

Jens Stoltenberg, il laburista norvegese che è l’attuale Segretario generale della Nato, a vertice concluso, ha riassunto la politica dell’Alleanza atlantica verso la Russia in due parole: “Deterrenza e dialogo”.

Due parole efficaci per sintesi diplomatica, che sono però anche la fotografia di due approcci diversi. Nel frattempo, la Nato va a occupare ambiti che sarebbe meglio fossero di competenza dell’Europa. Come ad esempio la politica dei satelliti di controllo pacifico (ma anche di Difesa, ovviamente) nello spazio. Trump teme che lo sviluppo tecnologico di Pechino comporti un pericolo, e vuole che gli Alleati lo seguano nel disinnescare il rischio di spionaggio.

Ma la Cina è per gli Stati Uniti anche, se non prima di tutto, un pericoloso avversario commerciale che in prospettiva anche breve potrebbe scalzare Washington da prima potenza. Invece per l’Europa la Cina è un competitor aggressivo ma anche un’opportunità. Rappresenta un mercato di oltre un miliardo e 400 milioni di abitanti, quasi tre volte gli abitanti dell’Unione europea.

Appartenere alla Nato poi costa caro, perché l’obbiettivo sottoscritto è che ogni Paese alleato spenda in difesa militare il 2% del Pil, poca cosa per la Polonia, un macigno per economie più potenti come l’Italia (che infatti è all’1,2%). Il precedente Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che dell’Europa peraltro si curava poco, sapeva vedere i vantaggi militari e diplomatici, e aveva scelto di essere tollerante sui conti. Trump invece è ossessivo come un cassiere. Questo gli ha fatto ottenere già 160 miliardi in più rispetto a tre anni fa, e non certo per il peso di nuovi alleati nella Nato, perché in questo triennio l’unico ingresso – nel 2017 – è stato quello del piccolo Montenegro, in attesa di formalizzare l’entrata della Macedonia del Nord. L’esoso Trump ha saputo imporsi, e ha addirittura fatto mettere nel documento finale di Londra i risultati di cassa. Parafrasando un detto popolare, per Trump la guerra è l’anima del commercio. Ma la fedeltà atlantica ha troppe crepe ed è tempo che l’Europa si svegli.

Fabio Morabito

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