Eurozona, cosa succederà dopo Draghi

di Fabio Morabito

“Lascio la Bce in buone mani”, dice Mario Draghi nel giorno del passaggio delle consegne, dopo otto anni alla guida della Banca centrale europea, l’istituto incaricato di attuare la politica monetaria dei Paesi che nell’Unione hanno scelto la moneta unica. E le buone mani sono quelle di Christine Lagarde, francese, già alla guida del Fondo monetario internazionale.

“Sono sicurissimo che saprà guidare la Bce in modo eccezionale” ha insistito Draghi. E ora sarà lei, al posto di Draghi, a firmare le banconote in euro come nuova Presidente. Non solo questo, naturalmente. E per l’Italia, che continua ad avere un debito pubblico non solo molto elevato ma sempre in crescita, le preoccupazioni per l’avvicendamento sono legate ovviamente a cosa potrebbe cambiare nell’area euro.

Ma le parole di Draghi forse non sono state solo di circostanza, e potrebbero aver voluto suggerire – almeno in questa prima fase – fiducia sulla continuità.

Draghi lascia nell’anno di sua maggior gloria, dopo aver riscosso consensi ovunque. Perfino il Presidente Donald Trump si è augurato pubblicamente di avere un Mario Draghi alla Fed (Federal Reserve System, la Banca centrale degli Stati Uniti). E l’avversario più autorevole dell’ex governatore della Banca d’Italia, l’ex ministro delle Finanze e ora Presidente del Parlamento tedesco, Wolfgang Schauble, gli riconosce di aver saputo calmare i mercati nel momento più difficile, nel 2012. Allora la tenuta della moneta unica stava tremando, e soprattutto erano sotto attacco due importanti economie in crisi, Italia e Spagna. La Bce acquistò i titoli pubblici “respinti” dal mercato, per disinnescare le speculazioni e non far salire troppo gli interessi, debito su debito.

In Italia ora si torna a parlare di un suo ingresso in politica, naturalmente come Premier, anche se le veline del Quirinale fanno sapere che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, qualora cadesse l’attuale governo guidato da Giuseppe Conte, sarebbe intenzionato a sciogliere le Camere.

Draghi, che ha 72 anni, non dà l’idea di essere tentato dalla politica, ma neanche dalla pensione, e alla domanda “quale sarà il suo futuro” ha risposto con un “chiedetelo a mia moglie”, aggiungendo: “Lei ne sa più di me”. A oggi, l’autorevolezza di Draghi lo fa ritenere probabilmente l’italiano più apprezzato al mondo nel campo della politica (perché politico è, per come ha saputo gestire gli equilibri interni alla Bce). Una vita fatta di lavoro e di studi, allievo di Federico Caffè, e non facile: a quindici anni, primo di tre fratelli, era già orfano di entrambi i genitori.

Lunedì 28 ottobre è stato però il momento della festa, a Francoforte, dove ha sede la Banca centrale europea. C’erano i “grandi” della cosiddetta “eurozona”, cioè quella parte dell’Unione europea  19 Paesi su 28  che ha scelto l’euro come moneta. C’era la tedesca Ursula von der Leyen, già votata come prossimo Presidente della Commissione europea.

C’erano la cancelliera tedesca Angela Merkel e il Presidente francese Emmanuel Macron, anche se entrambi erano presenti per ragioni anche diverse dal prestigio di Draghi. Angela Merkel è la “padrona di casa”: Francoforte è in Germania. E Macron è connazionale della nuova presidente, Lagarde, come era francese anche il predecessore di Draghi, JeanClaude Trichet. Per l’Italia è intervenuto Mattarella, ed è stata la scelta opportuna: non è il responsabile dell’esecutivo, ma è la figura più rappresentativa e “stabile”, con i suoi sette anni di mandato al Quirinale.

“È più che evidente che questo è il momento di avere più Europa, non meno” ha detto Draghi. E il suo richiamo all’Europa, nel commiato, è stato costante. “Laddove i risultati possano essere raggiunti meglio dalle politiche nazionali lasciamo che sia così – ha sottolineato -. Ma dove possiamo realizzare gli interessi pubblici lavorando insieme abbiamo bisogno di una Europa più forte”.

 

 

“Fino a non molto tempo fa – ha ricordato poi nel suo discorso – l’economia dell’area dell’Euro era segnata da un livello di disoccupazione probabilmente mai visto dai tempi della Grande depressione, e la sopravvivenza della moneta unica era in forte dubbio”. Ma oggi è diverso: “Ci sono undici milioni di persone in più che hanno un lavoro, e la fiducia nell’euro è salita a livelli mai raggiunti. E tutte le autorità dell’Eurozona ribadiscono l’irreversibilità della moneta unica”.

Non nasconde i tempi difficili che saranno, anche se la situazione è diversa da quella drammatica che lo vide subentrare alla guida della Banca centrale europea. Preservandone l’indipendenza, come gli ha riconosciuto, ripetendolo più volte a Francoforte, anche da Angela Merkel. Riuscirà Lagarde a non farlo rimpiangere? La nuova sfida, avvertono gli economisti, è la stagnazione degli investimenti e dei consumi, e quindi della crescita.

In questo quadro, l’Italia che ha cambiato coalizione di governo, si trova ad affrontare una manovra dal peso esagerato di trenta miliardi di euro che – per evitare l’aumento automatico dell’Iva – prova a trovare risorse con nuove tasse e altri tagli. Roma è sempre sotto osservazione, perché il suo rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo – che è l’indicatore di salute economica più osservato da Bruxelles – è al 132,2%. Febbre alta. E se molti interventi della Bce in questi anni hanno aiutato la nostra economia non si può serenamente dire che Francoforte non abbia fatto contemporaneamente gli interessi generali dell’Eurozona. L’eredità lasciata da Draghi non è affidata solo a chi prenderà il suo posto (Christine Lagarde, 63 anni, per altro ha una formazione diversa, è un avvocato) ma ai governi europei, alle riforme necessarie per essere al passo delle sfide già attuali, alla loro politica economica. Il suo motto resterà quel “Whatever is takes”, “qualunque cosa sia necessaria” per preservare la forza dell’euro.

“La Banca centrale europea – disse sette anni fa, e in fondo era al timone solo da pochi mesi – è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro. E, credetemi, sarà sufficiente”. Ma la sua lezione è anche umana, ed è suggerita dall’umiltà delle sue parole di commiato a chiusura del discorso di Francoforte: “È stato un onore e un privilegio questa opportunità che ho avuto. Grazie”.

Fabio Morabito

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