Prove d’intesa, in Italia la scommessa è tentare un patto di legislatura

di Fabio Morabito

Il primo capitolo della nuova legislatura in Italia, tecnicamente appena un prologo, si è appena chiuso e adesso si gioca la partita vera e propria, quella del governo. Sono stati eletti i due presidenti di Camera e Senato, rispettivamente Roberto Fico dei Cinque Stelle e Elisabetta Alberti Casellati di Forza Italia. Entrambi due ortodossi dei propri schieramenti, e quindi apparentemente inconciliabili. Ma i Cinque Stelle hanno scongelato la loro glaciale contrarietà a qualsiasi alleanza, che permette di apparire duri e puri ma solo da spettatori nella politica nazionale.

La Casellati eletta con i voti dei 5 stelle

Ora, con la disponibilità e il desiderio di diventare forza di governo, sono consapevoli di dover accettare quelle vie di mezzo che fino all’altro ieri erano oggetto di ironia e sberleffo non solo dei militanti, ma anche dei dirigenti del movimento fondato da Beppe Grillo. Quattro anni fa Elisabetta Alberti Casellati fu votata ed eletta come membro del Consiglio Superiore della Magistratura, con consenso del Partito democratico ma con l’opposizione dei Cinque Stelle. Stavolta i Cinque Stelle l’hanno sostenuta per la seconda carica dello Stato. Nuova presidente del Senato (lei stessa respinge la definizione di “presidentessa”) perché quello era il passaggio necessario ad avere i voti per Fico presidente della Camera. Prima volta di una donna alla guida del Senato, mentre alla Camera la prima è stata Nilde Jotti, e dopo di lei Irene Pivetti e Laura Boldrini.

Bravi Di Maio e Salvini

Sono stati bravi, nel condurre la trattativa nei necessari tempi serrati, sia Luigi Di Maio, capo politico dei Cinque Stelle, che Matteo Salvini, segretario della Lega e quindi anche leader designato dalla coalizione del centrodestra (il patto con gli alleati Forza Italia e Fratelli d’Italia era: il partito più votato esprime il candidato premier). Roberto Fico, nome indigesto a Berlusconi, rischiava di veder bruciata la sua candidatura nel gioco dei veti incrociati. I Cinque Stelle hanno bocciato il primo candidato dal centrodestra, il forzista Paolo Romani perché condannato in via definitiva per peculato. Una macchia che va ricordata nelle sue dimensioni. Il fatto risale ad alcuni anni fa quando l’attuale senatore era assessore al Comune di Monza: la sim del telefonino di servizio veniva usata dalla figlia allora minorenne. Romani sostiene di essere colpevole solo di mancata vigilanza, per i giudici invece era consapevole di aver dato la scheda alla figlia. Una bolletta da dodicimila euro ha amplificato lo scandalo.

Fico il più antiberlusconiano

Prevedibile, quindi, che per ripicca Forza Italia avrebbe bocciato il primo nome indicato dai “grillini”. Si è quindi “nascosto” il candidato  reale, Fico, ma è stato chiesto un sacrificio a Gianfranco Fraccaro, e cioè quello di poter spendere il suo nome come primo candidato del Movimento. Arrivata la prevista bocciatura, Di Maio ha proposto Fico che è stato finora forse il più antiberlusconiano dei leader grillini. Uno scambio di bocconi amari, che però suggerisce un significato importante: c’è la volontà di tentare un governo di legislatura, nonostante le tante voci anche autorevoli che immaginano uno scenario più rapido, e cioè: un esecutivo M5S-Lega per fare una legge elettorale, e poi andare al voto in contemporanea con le Europee del febbraio 2019. I vantaggi di un’operazione-lampo sarebbe quello, per i vincitori del 4 marzo scorso, di rafforzare la loro posizione ed avere maggiori margini di governabilità.

Leggi elettorali

Ma la cronaca parlamentare insegna che in Italia i partiti al governo le leggi elettorali non le sanno fare, e alla fine avvantaggiano i loro avversari. E’ successo così con il Porcellum (definizione avallata con senso di spirito dal suo stesso autore, il leghista Roberto Calderoli), che doveva premiare il centrodestra e ha permesso al centrosinistra di vincere; è successo in modo anche più clamoroso con il Rosatellum (dal suo ideatore Ettore Rosato) studiato – anche se ovviamente non in modo dichiarato – per danneggiare i Cinque Stelle, premiando i partiti in coalizione. Già quando il disegno di legge era in discussione si è subito parlato della volontà di arrivare a un asse di governo Pd-Forza Italia. Ma l’esito elettorale ha invece accreditato la possibilità di un’intesa tra altri due soggetti politici, i Cinque Stelle e la Lega.

Cinque stelle e Lega andranno al governo ?

Anche se al momento nulla è stato deciso, l’ipotesi di cui si parla di più è proprio un’intesa tra Cinque Stelle e Lega. Ragionevolmente, questo tentativo non sarebbe per cercare un accordo temporaneo ma proprio per un esecutivo di legislatura. Anche se Luigi Di Maio, capo politico dei grillini, ha messo le mani avanti, ricordando – a elezione dei presidenti avvenute –  che la partita per l’esecutivo è un’altra cosa. Lasciando quindi la porta aperta a un altro scenario, e cioè un’intesa con il Pd, che sarebbe più affine al colore politico dei Cinque Stelle. Colore imprecisato per motivi elettorali e per natura post-ideologica. Ma se si ragiona con le categorie tradizionali, i Cinque Stelle sono un partito di sinistra. Lo hanno dimostrato nella scelta dei dirigenti, nei nomi indicati come papabili ministri, perfino nella scelta del loro candidato Presidente della Repubblica Stefano Rodotà.

Il PD ha respinto 5 stelle

Un’intesa che però il Partito Democratico ha preventivamente respinto, anche se i primi ripensamenti stanno aprendo delle crepe a via del Nazareno, dopo il pragmatismo dimostrato dai “gemelli diversi” Salvini-Di Maio nel trovare una soluzione condivisa per i due rami del Parlamento. Certo quando le parti erano invertite, e cioè con il Pd più forte, furono i Cinque Stelle ha sbattere la porta in faccia a un volenteroso Pierluigi Bersani, allora segretario dei Democratici, giusto cinque anni fa. Un rifiuto giustificato con enunciazioni di principio, in realtà un modo per nascondere l’impreparazione e inadeguatezza di un gruppo politico allora preso di sorpresa dal grande consenso elettorale. Ora gli equilibri sono diversi e Matteo Renzi, leader sconfitto e segretario dimissionario del Pd, ha probabilmente ragione nel credere che sarà quella di un’opposizione intransigente la strada più utile al partito per recuperare credibilità e quindi consensi elettorali. In tempi di crisi economica è fisiologico un avvicendamento tra forze contrapposte, perché è più difficile governare che fare opposizione. Ma c’è un’urgenza di responsabilità, che in passato è stata anche la maschera di un assalto ad incarichi e poltrone, e oggi invece diventa il garantire un governo autorevole in un momento di forti contrapposizioni e di debolezza, soprattutto nel contesto europeo.

Bruxelles da tempo guarda con preoccupazione

Bruxelles da tempo guarda con preoccupazione agli equilibri politici italiani. E proprio mentre Roma scioglieva i nodi delle presidenze delle due Camere, si riaffacciava in Europa la minaccia dell’Isis che ha colpito – facendo tre vittime – nel sud della Francia dopo quasi sei mesi senza attacchi nel Continente. Quindi è un’Europa che non è ancora uscita dalla crisi del terrorismo, che non viene a capo della gestione dei migranti, e che affronta le conseguenze di una crisi economica non risolta dalla ripresa del Pil. I segnali positivi nel sud del Continente sono ancora troppo deboli,  e hanno solo attenuato le punte più drammatiche della crisi, a cominciare dalla diffusa disoccupazione e dal lavoro sottopagato. Per l’Italia, poi, c’è il fardello di un debito pubblico che viaggia verso l’insostenibile. I due vincitori del 4 marzo, e cioè Cinque Stelle e Lega, sono anche le voci più critiche verso Bruxelles, ma non sono – a differenza di altre forze definite populiste in Europa – nemiche del progetto dell’Unione. In questo quadro, Salvini e Di Maio, entrambi disponibili a governare insieme, devono trovare il punto di accordo, che però non è facile.

Ci potrebbe essere una terza soluzione

Una soluzione potrebbe essere quella di chiamare, come primo ministro, una figura terza rispetto ai due leader. Un’altra, quella di una staffetta tra Salvini e Di Maio come premier, che sarebbe una novità assoluta in Italia ma una formula già sperimentata in Germania ai tempi del primo esecutivo a guida Angela Merkel. Poi ci sarebbe da chiarire il ruolo di Forza Italia, che i Cinque Stelle vogliono lasciar fuori dall’esecutivo. La soluzione il partito di Berlusconi la potrebbe trovare in un voto di astensione, che sarebbe come fare buon viso a cattivo gioco. Non belligeranza, ma divisione di fatto del fronte del centrodestra che però lascerebbe intatti gli equilibri nelle Regioni governate insieme. In passato il Partito socialista riusciva a stare con disinvoltura al governo con la Dc nello scenario nazionale e contemporaneamente con il Pci nelle regioni di sinistra. In ogni caso quindi, anche con Forza Italia all’opposizione, non ci sarebbe nulla di nuovo.

Difficile onorare le promesse

Sarà più difficile invece onorare le promesse fatte, con programmi velleitari, agli elettori, sopratutto quando sono la somma di visioni – e quindi di costi – diverse. Anche se poi gli italiani, smaliziati dopo tante promesse mai mantenute, non hanno probabilmente votato secondo le suggestioni di un programma ma per una volontà di cambiamento radicale. E in questo senso, magari con autocompiacimento, Roberto Fico, rientrando a Napoli da presidente neoeletto della Camera, ha voluto far sapere di essere tornato a casa in treno con un biglietto di seconda classe.

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